lunedì 15 dicembre 2008

CAPITOLO TERZO


NOE' O LO E'?

Anche se all’inizio Eva non aveva mai voglia di trombare il cazzettino di Adamo, lui ci provava in continuazione e alla lunga, visto che dopotutto era l’unico uomo sulla terra, quando Eva si stufò degli animali, accettò di farsi chiavare da lui.
Adamo aveva quintali di energia sessuale repressa e quando finalmente ebbe l’occasione per sprigionarla non si fece pregare. Aveva un problemino con l’eiaculazione precoce ma in compenso non si stancava mai e continuava a venire e venire in continuazione dentro Eva. Adamo andò avanti a chiavarsi Eva a ripetizione per oltre 900 anni ed ebbero milioni e milioni di figli che si chiavavano tutti a vicenda (e con Adamo ed Eva stessi) e fondarono il genere umano, che in poche parole è una massa di ninfomani incestuosi senza dio.
In quel marasma di carne lussureggiante, seme disperso, cazzi, culi, fighe, tette, lingue e orefizi di qualsiasi genere, si persero le tracce dei miei antenati e non se ne seppe più nulla fino al mio
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proprogenitore Noè, nono discendente di Adamo.

Al tempo di Noè tutti continuavano a chiavare liberamente e a Dio la cosa non piaceva per niente anche perchè, da quando Adamo lo aveva ucciso smettendo di credere in lui, non gli era più possibile materializzarsi sulla Terra per trombarsi le donne umane che gli piacevano così tanto.
Così Dio era terribilmente geloso degli umani e li odiava con tutto il cuore ma non aveva nessun modo per punirli a dovere.
Noè era l’unico uomo che invece non ne voleva sapere di mescolarsi con gli umani e soprattutto con le umane. A lui piacevano solo gli animali e a Dio Noè piaceva una sacco proprio per quello. Era l’unico uomo di cui non aveva niente di cui essere geloso.
Secondo Noè gli umani erano i veri animali, mentre gli animali erano molto più civili, gentili e insomma gli davano molta più soddisfazione. I suoi animali preferiti erano le tigri, ma anche le pecore non gli dispiacevano. C’era stato un periodo in cui aveva provato a fare sesso con sua moglie una volta e gli erano nati ben tre figli ma secondo lui non c’era niente come una tigre o una pecora e il solo pensiero lo eccitava moltissimo.
Lo eccitava un sacco anche quando obbligava sua moglie e i suoi figli a farsi chiavare da animali di vario genere, dalle sue amate tigri, ai cavalli, ai cani.

Naturalmente tutti sfottevano Noè pesantemente per la sua passione sfrenata per gli animali ma ancora di più perchè non ne voleva sapere di mescolarsi con gli altri uomini. Anche la moglie di Noè ovviamente lo odiava e i suoi tre figli, Shem-o Jafet e Ham, se ne vergognavano enormemente. Per sopportare l’astio degli altri uomini e donne e l’imbarazzo dei suoi famigliari, Noè beveva. E beveva e beveva e beveva e beveva. E beveva e beveva e beveva. E diceva: “Voi non capite niente. Siete solo dei disgustosi peccatori, ninfomani e incestuosi. Solo i miei cari animali mi capiscono. Loro sì che sono sani e meritano il mio amore incondizionato. Ma io un giorno me li prendo tutti con me e me ne vado da questo posto!”
“Hahahahah. E dove pensi di andare?” Gli rispondevano ridendo.
“E soprattutto come pensi di andarci, vecchio?”
Noè non sapeva la risposta a quelle domande e così ricominciava a bere e se ne dimenticava.
Così la vita di Noè andò avanti per anni e anni. Dio, dall’alto della sua impotenza dovuta allo stato di non-esistenza in cui era stato relegato, lo guardava con pena e affetto. L’odio e la gelosia che entrambi provavano per gli umani fornicatori li accomunava. E Dio si ripromise che, appena qualcuno avrebbe anche solo per sbaglio creduto in lui, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata annientarli tutti. E negli anni il suo odio per l’umanità era solo cresciuto.
Dio cercava in qualche modo di far penetrare nella testa di Noè il concetto dell’onnipotenza e dell’onniscenza divina ma Noè, da quell’orecchio, proprio non ci sentiva e, se ogni tanto gli fosse venuto un qualche pensiero teistico, lo cancellava rapidamente con del buon vino.
Verso la fine del suo quinto secolo di vita, Noè si innamorò perdutamente di un particolare agnello. Se ne innamorò così tanto che smise di frequentare chiunque, anche la sua stessa famiglia. Passava i giorni e le notti con l’agnello. Gli parlava, lo accarezzava e soprattutto ci faceva un sesso sfrenato. Il miglior sesso di tutta la sua vita cinquecentenaria. Così si isolò sempre di più e più lui si isolava più cresceva l’astio degli altri nei suoi confronti. Ma lui non ci faceva caso. Beveva e si inchiappettava il suo agnello.

Fu così che il giorno del suo seicentesimo compleanno, tutti gli abitanti decisero di fargli una sorpresa e organizzarono un banchetto in suo onore.
Quando Noè, al ritorno dai campi, si avviò verso la stalla in cui teneva i suoi animali e il suo adorato agnello, che ormai, con tutte le cure e le attenzioni che riceveva, era diventato una pecora grassa e appetitosa, fu intercettato da un gruppo di paesani che gli correvano incontro.
“Caro Noè, lo sappiamo che non ti piace la compagnia degli altri uomini. Però abbiamo deciso che, almeno nel giorno del tuo seicentesimo compleanno, tu abbia diritto a una festa come si deve. Vieni a bere con noi”.
Noè all’inzio cercò di opporre resistenza. Lui voleva solo andare dalla sua pecora. Raccontarle della sua giornata, accarezzarla, sussurrarle parole dolci e poi incularla a sangue come faceva ogni notte da quasi 10 anni. Gli uomini però insistettero così tanto che Noè si lasciò andare. Era da tanto tempo che nessuno era così gentile con lui e pensò “E che cazzo. È il mio seicentesimo compleanno. Avrò diritto di divertirmi un po’”. Poi pensò a tutto il vino che ci sarebbe stato e acconsentì a seguirli.
A casa di Noè c’erano tutti che lo aspettavano. Decorazioni, alcol a fiumi e un delizioso odorino di grigliata.
“Ti abbiamo fatto una festa che non t’immagini neanche”, gli disse sua moglie correndogli incontro. Era da decenni che non lo abbracciava in quel modo. Si lasciò accompagnare al tavolo, e si sedette al posto d’onore. Tutti si sedettero e sua moglie, dopo avergli riempito diversi bicchieri di vino, andò a prendergli da mangiare.
“Cari miei. Lo so che sono stato un po’ scontroso e che mi sono alienato da voi negli ultimi 2-300 anni. Non avrei mai più creduto che la compagnia di altri uomini e donne potesse essere un’occasione così gioiosa. Vi prometto che farò del mio meglio per comportarmi in maniera più decente verso tutti voi che siete stati così gentili con me in questo giorno del mio seicentesimo compleanno”.
“Evviva”, urlarono tutti in coro.
Nel frattempo la moglie di Noè era tornata con il pasto. Il taglio migliore dell’arrosto.
“E cosa mangiamo di buono stasera?” Chiese Noè già mezzo ubriaco.
“E’ agnello mio caro. Un bel pecorone grasso e gustoso. Come piace a te”
“Evviva” rise Noè e si avventò sul piatto. Al festeggiato andava il taglio migliore della carne e sul piatto, come prelibatezza, c’era la testa dell’animale arrostito, di cui si potevano mangiare cervella, occhi e guance.
Noè aveva già divorato un paio di bistecche quando si avventò sulla testa per aprire il cranio. La girò, vide gli occhi e cacciò un grido straziante.
“Maledettiiiiii!!! Assassini!!!! Come avete potuto????. Avete ucciso la mia Molly. Bastardi. Oddio e io l’ho anche mangiata!!. Prese la testa della pecora tra le mani e la abbraccio, poi disgustato la gettò lontano da se. Non sapeva più cosa fare, sembrava impazzito.
Tutti intorno a lui ridevano come dei pazzi. E le loro risatte crescevano e crescevano nella sua testa.
“Bastaaaaaa!” Urlò Noè. Questo è troppo. “Domani inizierò a costruire la mia arca. Prenderò tutti gli animali e me ne andrò da qui”.
Tutti si misero a ridere ancora più forte.

L’indomani Noè si svegliò di buon ora e cominciò a lavorare alla costruzione dell’arca. Nessuno credeva che ci sarebbe riuscito. Tutti erano certi che dopo un poco si sarebbe stufato e avrebbe lasciato perdere.
Invece Noè andava avanti. Ci metteva tutte le sue energie, quelle che prima aveva dedicato al lavoro e alla famiglia e poi solo ai suoi animali. Sembrava impazzito. Si lasciò crescere un lunga barba, non si cambiava mai i vestiti e nei suoi occhi c’era una luce strana. Non mangiava più nulla tranne qualche frutto ed erbe che trovava. L’unica cosa che faceva, giorno e notte, era costruire l’arca.
Aveva anche smesso di parlare con chiunque, parlava solo con se stesso, ad alta voce, come se stesse parlando a qualcun altro.
All’inizio l’arca di Noè fece un po’ di scalpore tra gli abitanti ma dopo un po’ tutti smisero di farci caso, occupati come erano a trombare, procreare e trombare ancora con la loro prole.
Nel tempo i monologhi di Noè, che nascevano dalla sua pazzia e dall’alcol che beveva in continuazione, divennero sempre più lunghi e complessi. Alla gente che li sentiva sembravano cose senza senso.
Anche Dio ascoltava sempre i monologhi di Noè. Nella sua pazzia il vecchio stava arrivando sempre più vicino ad ipotizzare l’esistenza di un essere superiore. Ma era troppo stupido e i piccoli lampi di lucidità che aveva non bastavano a ridare a Dio la sua esistenza.

Alla fine, dopo anni di lavoro costante, l’arca venne ultimata. Noè vi fece salire tutti gli animali, due di ogni specie, un maschio e una femmina, perchè a lui piaceva scoparli di entrambi i sessi: erano due esperienze molto diverse. Poi andò a casa sua e, a suon di bastonate, obbligò la moglie, i suoi tre figli e le mogli dei suoi figli a salire sull’arca. A loro erano assegnate le cabine inferiori, con gli animali più sporchi, mentre lui stava di sopra con pecore, tigri e colombe, i suoi animali preferiti.
Quando tutto fu pronto per salpare una folla di gente affollava la spiaggia.
“E ora dove andrai vecchio rincoglionito?” Urlò qualcuno.
“Me ne vado verso una terra dove potrò essere felice con i miei animali senza di voi bastardi”
“Vaffanculo vecchio!”
“Affanculo tutti voi. Che Dio vi maledica!”
“E chi cazzo è Dio?”
“Cosa?”
“Ho detto: e chi cazzo è Dio?”
Noè non sapeva bene cosa rispondere. Quella frase gli era venuta così per caso. Allora si inventò la prima stronzata che gli veniva in mente: “Dio è un essere superiore che ha il potere di fare e disfare qualsiasi cosa e quindi può inculare tutti voi!”

Era abbastanza. Dio non poteva credere alle sue orecchie. Esisteva di nuovo.

In pochi attimi il cielo si scurì talmente tanto che il giorno divenne come la notte. Poi i tuoni, i lampi, il terremoto, le frane, la grandine, le eruzioni vulcaniche, gli uragani, i tornadi, il maremoto, fuoco e fiamme, voragini nella terra ed infine il diluvio. Piovve per quaranta giorni e quaranta notti ma Noè con la sua arca non era mai stato più felice. I suoi odiati famigliari erano immersi fino al collo negli escrementi mentre lui se la spassava con tutti gli animali che voleva. E tutti gli uomini del Mondo erano morti, proprio come aveva sempre sognato.

Sopra Noè, anche Dio se la spassava. Però era preoccpato. E’ vero, aveva sterminato tutti in preda a un odio che aveva covato per millenni, però, proprio ora che poteva chiavarsi le umane non ne era rimasta nessuna se non le mogli della famiglia di Noè che erano dei cessi tremendi. E per di più La sua esistenza era molto fragile. A volte esisteva e a volte no. Tutto dipendeva da Noè. Quando la scena del “Dio vi maledica” era presente nella sua memoria a lungo termine, Dio esisteva. Ma quando, tra l’alcol e la pazzia, Noè dimenticava tutto, Dio smetteva di esistere. Dio capì che doveva assolutamente fare qualcosa prima che Noè si dimenticasse di lui per sempre. Così cercava di parlare a Noè che però, credendo di essere in preda alla pazzia o al delirium tremens dell’alcol, non gli dava retta.

Nel frattempo i figli di Noè, soprattutto Shem-o e Japhet, si erano proprio rotti i coglioni di essere rinchiusi tra gli escrementi animali e decisero di ribellarsi. Ma non sapendo come far navigare l’arca decisero di aspettare di arrivare vicino a qualche forma di terraferma. Così aspettarono e aspettarono. Passò un anno ma nulla. E la frustrazione cresceva fino a che i due figli più grandi, Shem-o e Japhet, per sfogarsi, cominciarono a incular il più giovane, Ham, che per riugiarsi si nascondeva nella stanza del padre, che tanto non lo avrebbe mai inculato perché gli piacevano solo gli animali.

Un giorno, entrando nella stanza di Noè, lo vide nudo sul letto, con il membro, neanche tanto piccolo, appoggiato sulla coscia. Ham, che ormai era stato inculato così tante volte da essere diventato ricchione, spinto da non si sa quale desiderio perverso, cominciò a succhiarglielo. Quando Noè si svegliò andò su tutte le furie. Già odiava essere anche solo toccato nelle parti intime dalle donne, figuriamoci subire una pompa da un uomo e per di più da suo figlio. Così lo cacciò e, in nome di Dio, lo maledì e maledì tutti i suoi figli e i figli dei suoi figli.

Ham ci rimase malissimo. Ora non aveva più nessun amico sull’arca. Tutti lo odiavano e lo abusavano. Per vendicarsi decise di liberare il colombo preferito di Noè, che il vecchio aveva cominciato a chiavarsi da quando non aveva più la sua pecora. Una notte andò nella stanza di Noè, prese la colomba e la liberò. Quando Noè si svegliò e si rese conto che la colomba era fuggita, si disperò e minacciò di suicidarsi. Per Dio questa era un’occasione unica.
“Noè”, disse.
“Chi sei?”
“Sono Dio”
“Mi sa che ho le traveggole. Cosa vuoi?”
“Io posso ridarti il tuo amato colombo”
Alla luce di questa possibilità, Noè era disposto a credere davvero in questo Dio. “Cosa devo fare?”
“Devi solo credere in me. E parlare di me ai tuoi figli e dir loro di parlare ai loro figli”.
“Va bene. Affare fatto. Dimmi dov’è il mio colombo”.
“Tornerà, vedrai”.
“Ma come posso essere sicuro che sia veramente lui?”
“Avrà nel becco un ramoscello di olivo”.
“Perché olivo?”
“Perché sì. Smettila di farmi domande idiote e vai a parlare ai tuoi figli”.

Sette giorni dopo il colombo tornò con un ramo di olivo nel becco. Noè, come concordato con Dio, andò a parlare ai suoi figli.
“Vedete, figli miei, c’è questo Dio…”
“Che cazzo è un Dio?” Disse Shem-o
“Un Dio è un essere onnipontete che controlla le nostra vite”.
“Ma quando la pianterai di dire stronzate padre?”
Noè gli mollò uno schiaffo. Non era mai stato un buon maestro. Così alla fine i suoi figli fecero finta di ascoltare ma nessuno realmente gli diede retta.
L’indomani Dio parlò di nuovo a Noè
“Hai detto ai tuoi figli di me?”
“Certo”
“Ci hanno creduto?”
“Come no?” Rispose Noè, ma non ne era poi così certo.
“Ottimo!”, Disse Dio entusiasta.
“Adesso rimandami il tuo colombo e io gli indicherò la strada vero la terraferma. Da lì poi tu e i tuoi figli darete vita a una nuova umanità che crescerà vivendo nella sottmissione a me: il vostro Dio”.
“Non se ne parla neanche. Il colombo e mio e me lo tengo”.
“Idiota! Ti ho detto di mandarmelo. Poi te lo ridarò”.
“Non ti credo!”
Dio spazientito prese il colombo e lo tirò verso la terraferma, solo che lo tirò con una tale furia che quando colpì la terra si spiaccicò.
“Bastardo!”
“Bastardo a me? Come ti permetti?” Urlò Dio e gli tirò uno schiaffone.
“Io ti ho creato e io ti distruggerò!” Piagnucolò Noè
“Ah Sì? E come?”
“Berrò così tanto che non mi ricorderò più di nulla neanche di te”
“Fai pure, tanto ci sono i tuoi figli”.

Così Noè, sbarcato a terra, cominciò a dar fondo a tutte le scorte di vino sull’arca, che sarebbero dovute durare 10 anni, e più beveva più dimenticava. Dio, sicuro del fatto che la sua esistenza era assicurata dai figli di Noè non si curò più di tanto della cosa ma si sbagliava. I figli di Noè non avevano dato nessun peso ai deliri del padre e avevano già iniziato a procreare, dividendosi le zone del mondo. A Shem-o l’Asia, a Jafet l’Europa, a Ham l’Africa.

Più Noè beveva più Dio scompariva e, quando se ne rese conto, era già troppo tardi.

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