lunedì 15 dicembre 2008

CAPITOLO QUARTO


ABRAMO CE L'HA IN MANO

Non se ne seppe più nulla fino al miopropropropro
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proproproproproproprogenitore Abramo. Abramo figlio di… figlio di? Aò, di chi cazzo era figlio Abramo?
Puttana.
Abramo figlio di Puttana. La madre di Abramo era una gran puttana a quanto pare. Anche per questo anche lui non andava d’accordo con gli altri umani. Odiava sua madre e la sua promiscuità. Odiava il fatto che le piacesse così tanto il sesso e che lo facesse per soldi, come se fosse una cosa da nulla, senza preoccuparsi di rimanere incinta o di prendersi qualche malattia. Si era ripromesso che lui non sarebbe mai stato così: odiava il sesso, odiava le donne e odiava gli uomini. E loro odiavano lui.
L’unica che non odiava Abramo era sua moglie Sara che non si sa bene per quale ragione provava pena per lui ed era disposta a fare qualsiasi cosa per aiutarlo. Anche far finta di essere sterile per giustificare il fatto che non avevano figli. In realtà lei e Abramo non avevano mai rapporti sessuali perché lui non voleva. Ormai era così tanto tempo che non aveva rapporti con una donna che non ci riusciva neanche più. Era lui a essere diventato impotente ma non l’avrebbe mai ammesso. Quindi impose a Sara di fingere di essere lei a non poter avere figli e lei, non si sa bene per quale ragione, lo fece, senza mai lamentarsi.

Abramo, invece, dopo una vita intera passata a lamentarsi di tutto e tutti quelli che gli stavano intorno, dopo essere stato preso in giro per le sue continue prediche contro il sesso libero e contro tutto ciò che fosse divertente e piacevole, dopo essere stato escluso da tutti i giri che contavano e costretto a vivere come un eremita tra la sua stessa gente, dopo tutte queste umiliazioni, Abramo ebbe un’idea.

Se lui non poteva imporre il suo modo di vedere sugli altri da solo allora lo avrebbe fatto con l’aiuto di qualcuno, qualcuno più potente di tutti coloro che esistono, qualcuno così potente che nessuno avrebbe potuto ribellarglisi, qualcuno di cui solo lui avrebbe conosciuto la volontà e avrebbe potuto comunicarla agli altri uomini, qualcuno che se non esisteva bisognava inventarlo: a 75 anni Abramo ebbe il cosiddetto colpo di genio, altresì noto come colpo di culo, e s’inventò Dio. E inventandoselo, credendo nella sua invenzione, lo resuscitò. Un paio di migliaia di anni dopo che Adamo ed Eva lo avevano fatto fuori senza troppi complimenti.


Così Abramo si autoincaricò di professare il volere di Dio sulla Terra e si dedicò a incutere il timore divino tra gli altri umani. Che però non ne volevano sapere di acoltarlo.
“Che cazzo vuoi che ce ne freghi a noi del tuo Dio? Pirla!”
“Veneralo tu quel rompicazzo! Idiota!”
“Ancora con ‘sta storia del Dio? Ma la vuoi piantare e pensare a far godere tua moglie piuttosto? Se no guarda che ci penso io con quella gnoccona”.
“Sai cosa puoi fare con il tuo Dio? Arrotolalo e ficcatelo su per il culo! Coglione cagaballe!”
“Cos’è che vorrebbe che facessi il tuo Dio? Che smettessi di chiavare e mi dedicassi solo a venerarlo? Ma sei scemo? Tornatene nel tuo cazzo di buco ricchione!”
“Cos’è che hai detto? Che le donne devono essere succubi degli uomini? Non so se ci hai fatto caso, vecchio rincoglionito, ma li abbiamo tutti per i coglioni. Perché mai dovremmo essere succubi?”
“Vediamo se ho capito bene. Devo dare a te il cibo che mi sono procurato per sacrificarlo al Dio? Per chi cazzo mi hai preso vecchio scemo?”
“Perché mai dovrei fare della roba per un Dio del cazzo che non ho mai visto? Perchè invece non si mette lui a fare qualcosa di buono per me? Poi vediamo se venerarlo o no”.
“Se il tuo cazzo di Dio è onnipotente, perché cazzo non si fa mai vedere qui tra noi?”
“Secondo me ha paura”.
“Sì, secondo me è un Dio frocio che ha paura di mischiarsi con dei veri uomini come noi”
“Sì un Dio frocio con un cazzettino piccolino che ha paura delle donne!”
“Piantala di romperci i coglioni col tuo Dio del cazzo, levati di mezzo vecchio caprone marcio. Noi siamo liberi. Perché dovremmo sottometterci al volere di un Dio?”
E così via. La situazione di Abramo era addirittura peggiorata. Anche con il supporto di Dio non riusciva ad imporre la sua volontà sugli uomini e rimaneva ancora più emarginato da tutto e tutti. Solo Sara gli voleva ancora bene. La sua Sara che gli era sempre stata accanto e non lo aveva mai tradito.
Così, affranto, si diresse verso casa sua, che poi era la casa che suo padre gli aveva lasciato. Deciso ad arrendersi e desideroso di consolarsi tra le braccia di Sara. Appena entrato nell’uscio, però, sentì strani suoni. Suoni che non aveva mai sentito in quella casa.
“Siiiiiiii. Dai fammi godere! Di più di più di più. Sei un dio!” Era una voce di donna, della sua donna. Di Sara. Sara si stava facendo sbattere da qualcuno in casa loro.
“Siiii Siii Siiii, sto venendo! Non smettere, dai fottimi più forte più forte! O mio Dioooooo!”
Abramo corse al piano di sopra, verso la camera da letto da cui provenivano le urla di Sara.
Aprì la porta con un calcio ed irruppe nella stanza per trovarsi davanti una scena indescrivibile. Un enorme culone nero e peloso, a cui erano attaccati due coscioni e una schiena altrettanto pelosa, sovrastava il corpo ancora sufficientemente giovane e delicato di sua moglie. Dai lati fuoriusciva un pancione enorme e grasso. Le braccia di Sara lo cingevano. La faccia di Sara era di fianco a quella enorme e barbuta dell’entità, la bocca spalancata in un urlo godereccio, gli occhi socchiusi in uno sguardo stravolto dal piacere fisico. L’entità non era un umana. Non poteva essere umano. Era qualcos’altro. Adamo capì che la sua idea gli si era ritorta contro.
Dio era venuto.
Ma non era certo quello il modo in cui Abramo si era immaginato la “venuta” di Dio. Soprattutto non si sarebbe mai aspettato che Dio sarebbe “venuto” dentro sua moglie.
Abramo attraverò diversi stati d’animo in pochi secondi. Sorpresa, paura, tristezza, disperazione, rabbia, gelosia, odio, desiderio di vendetta. Senza pensarci saltò addosso alla creatura e lo tirò per i capelli. Dio però, lo sbattè subito a terra con un manata. Abramo non tornò alla carica ma rimase a terra dolorante. Dio, che intanto aveva finito con Sara, si alzò lentamente, senza alcuna fretta e, messosi a sedere sul bordo del letto, parlò ad Abramo.
“Vedi Abramo non ti devi scaldare. Tu mi hai riportato in vita e io ti aiuterò. In effetti ti sto già aiutando”.
“E come? Trombandoti mia moglie?” Chiese Abramo piagnucolando.
“Sì, anche così. Ora tua moglie avrà tantissimi figli e a tutti sembrerà un miracolo. Qusto ti darà potere e credibilità davanti ai tuoi pari. Non è questo ciò che volevi?”
“Si ma io…”, cominciò Abramo tra i singhiozzi.
“Taci! Non ho finito”
I tuoi figli diventeranno forti. Saranno dei dominatori. Tu dovrai solo insegnargli a credere in me così che io potrò continuare a vivere. In cambio tu diventerai la guida suprema del tuo popolo e li condurrai alla Terra Promessa!”
“Cos’è la Terra Promessa?”
“Ma niente, è una cazzata che mi sono inventato in questo momento. Una cagata da vendere agli altri per convincerli a seguirti. Ho scelto un pezzo di terra a caso a qualche migliaio di chilometri da qui, in un posto che si chiama Canaan. Sono sicuro che non gliene fregherà niente a nessuno se andate a stare lì”.
“E come farò?” chiese Adamo asciugandosi le lacrime
“Io proteggerò coloro che ti seguono e distruggerò quelli che ti si opporranno. La tua stirpe, che poi è la mia stirpe, sarà benedetta e non avrà mai nessun problema. Dominerete il mondo per sempre”.
Dio ovviamente stava bluffando completamente ma Abramo non se ne accorse. L’idea non gli sfiorò neanche la testa, accecato com’era dalla possibilità di avere un briciolo di potere.

VERSO LA TERRA PROMESSA

Così Abramo tornò tra la gente e ripetè i suoi discorsi astrusi su Dio solo che questa volta, se qualcuno osava rispondergli, lui cominciava a picchiarlo selvaggiamente e poi diceva che quello era il volere di Dio. La gente, che fino a quel momento era stata impegnata solo a divertirsi e a chiavare, trombare, fare sesso e fare l’amore a piacimento non era abituata a quella violenza e non sapeva come opporvisi. Così, stufi di pigliare mazzate per delle stupidate, accettarono di dare corda ad Abramo e, facendogli credere di essere il capo, lo seguirono nel suo viaggio verso la terra promessa da Dio.
“Ceeerto che sei tu il capo Abramo”.
“Ceeerto che Dio è onnipotente”.
“Ceeerto che obbediremo ai tuoi ordini”.
“Ceeerto che siamo il popolo eletto”.
“Ceeerto che siamo felici di seguirti in ‘sto viaggio di mesi nel deserto invece che stare a casa a trombare e divertirci”.
“Ceeerto che nel nome di Dio ammazzeremo tutti i poveri sfigati che incontriamo per strada”.
“Come no?”.
“Hurrà!”.
“Evviva!”.

Però la realtà era che Abamo gli stava ancora più sui coglioni e avevano accettato di seguirlo solo per sbarazzarsi di lui alla prima occasione propizia, abbandonandolo il più lontano possibile dalla terra di Haran.
L’occasione si concretizzò quando si ritrovarono in Egitto. Il faraone aveva notato un gruppo di sbandati che attraversavano la sua terra e li aveva invitati a cena alla sua corte per farsi due risate. La figlia del faraone, Hagar, era un cesso mostrouso. Durante la cena tutti fecero in modo di far sembrare Abramo un capo forte e coraggioso agli occhi di Hagar, mentre le versavano copiose quantità di vino, sussurrandole nell’orecchio che Abramo era già follemente innamorato di lei. Come prevedibile, prima della fine della cena, Hagar ne parlò al padre.
“Papà, papà Abramo mi ama e io amo lui. Voglio sposarlo”
“Ma… e il generale che hai sposato ieri?”
“Lui non m’interessa più. Uccidilo. Abramo è un condottiero forte e valoroso. Ed è molto amato dai suoi uomini. Mica come quel frocio del tuo generale”.
“Ma Hagar, Abramo è già sposato.”
“E allora? Fai fuori anche lei. Sei o non sei l’incarnazione del nostro Dio.”
“Non se ne parla neanche Hagar. Non puoi avere sempre tutto quello che vuoi”
“Lo voglio! Lo voglio! Lo Voglio! Lo voglio! Lo voglio! Lo Voglio! Lo voglio!”, cominciò a urlare Hagar, come suo solito quando non poteva avere qualcosa.
Dopo poco tempo il frignolio era diventato insopportabile per il faraone che acconsentì e ordinò il matrimonio immediato tra Hagar e Abramo. Abramo era spaesatissimo ma anche inorgoglioto da questa manifestazione di amore da parte della figlia del faraone, sentendosi per la prima volta in un ruolo, quello del condottiero strappacuori, che secondo lui gli apparteneva ma che non era mai stato il suo. Però Abramo non poteva accettare la mano di Hagar e abbandonare il suo viaggio. Così, cortesemente, rifiutò.
Non l’avesse mai fatto. In un attimo le guardie l’avevano preso e imprigionato. Chiuso in cella gli avevano dato due possibilità: sposare Hagar o morire. Abramo accettò di sposarla, pensando che sicuramente durante la cerimonia i suoi uomini lo avrebbero liberato. In meno di 24 ore, Abramo era vestito di tutto punto e pronto alla cerimonia. Quando arrivò davanti al tempio, però, si rese conto che dei suoi uomini non c’era nessuno, neanche Sara.
“Esigo subito una spiegazione”, disse Abramo alle guardie del faraone che lo scortavano all’altare. “Dove sono i miei uomini? Cosa gli avete fatto, vigliacchi?
“Signore, guardi che i suoi uomini se ne sono andati”.
“Non è possibile. Quando?”
“Circa 23 ore fa, signore. Più o meno 30 secondi dopo che l’abbiamo sbattuta in cella”.
Così Abramo non ebbe scelta e si dovette sposare con Hagar. Ma era più che mai deciso a fuggire alla prima occasione utile. Che si presentò prontamente la prima notte dopo le nozze. Hagar lo aspettava vogliosa sul letto ma lui, che non chiavava le fighe figuriamoci i cessi, era intento a calarsi dalla finestra del palazzo. Non fu troppo difficile. Alla fine non gliene fregava niente a nessuno del cinquantatreesimo marito di Hagar. Lei stessa si stufava rapidamente e di solito li faceva uccidere dopo un paio di giorni o al massimo un mese.
Vederlo fuggire in quel modo, però, la intrigò. Era abituata agli uomini del faraone, pronti a fare qualsiasi cosa per essere con lei, speranzosi di ottenere il regno in eredità. Quello che aveva sempre voluto era qualcuno che la rifiutasse. Così fu lei a inseguirlo e a seguirlo verso la sua gente.
Abramo aveva intuito che la sua gente sarebbe instintivamente tornata verso la terra natale di Haran (anche se non aveva capito che lo aveva fatto più che consciamente) e, correndo come un disperato per alcuni giorni, riuscì a raggiungerli. Loro se l’erano presa comoda e non erano andati molto lontani.
“Aspettate o mio popolo. Avete sbagliato strada. Sono tornato tra voi per condurvi alla Terra Promessa!”.
E, qualche centinaia di metri più indietro, Hagar: “Aspettami amore sto arrivando da te!”
E la gente:
“Occazzo ci risiamo”
“Perché non ci lascia in pace?”
“Vattene rompicazzo. Vogliamo andare a casa”
Abramo non li sentiva e li obbligò a cambiare strada, con il suo solito metodo che consisteva nel picchiare selvaggiamente chi non lo seguiva e poi dire che quello era il volere di Dio.
Così Abramo ora aveva due mogli e, dopo qualche altro intoppo e diversi mesi di viaggio, arrivarono a Canaan. Lì c’erano delle popolazioni indigene con cui la gente di Abramo, inizialmente, andava più che d’accordo. Tutti avevano già iniziato a chiavare allegramente mischiandosi tra loro senza alcun problema. C’erano delle belissime donne con la pelle scura e liscia e uomini simpatici e forti.
Però Abramo, preso dalla gelosia e dal suo odio viscerale per il sesso, disse alla sua gente di non mescolarsi e di far fuori tutti quelli che incontravano. Ovviamente la maggior parte di loro non gli ubbidì ma le relazioni tra i popoli non poterono che incrinarsi.
Abramo invece era contento. Ora aveva due mogli ed era diventato re del suo popolo. Tutto grazie a Dio.
La promessa fattagli da Dio, inoltre, divenne parzialmente realtà. Sara non ebbe migliaia di figli ma ne ebbe uno, Isacco. Mentre Hagar, che si chiavava tutti gli uomini che le capitavano a tiro, ne ebbe un altro, Ishmael. Si dice che l’unico in grado di metterla incinta fosse stato uno dei locali, un omone scuro di pelle di nome Allah.

Isacco e Ishmael ovviamente non andavano affatto d’accordo e appena furono grnadi abbastanza se ne andarono di casa. Ma questa è un’altra storia.

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