lunedì 15 dicembre 2008

CAPITOLO OTTAVO


BUDDHA AL BAR

Non è sicuro al 100% però sembra che uno dei miei propropropropropropropropropropropropropropro
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proproproprogenitori proprovenisse addirittura dal Nepal. Si chiamava Siddharta Gautama, altresì detto il Buddha. E questa è la sua storia.

Il gomito del Buddha scivolò dal bancone sui cui era appoggiato e la faccia del Buddha finì dritta nel piatto di dolciumi che aveva davanti. Era sbronzo perso. Ormai era sempre sbronzo. Beveva per dimenticare, per dimenticare le cose orribili che aveva fatto nella sua vita, per dimenticare l’ossessione delle sensazioni che lo perseguitava da sempre, il bisogno di sentire emozioni sempre più forti e sempre più malsane. Beveva per dimenticarsi che ora era solo, un ciccione obeso che non sapeva controllarsi e che per questo aveva perso tutti gli amici che avesse mai avuto. Non si era mai riuscito a controllare in vita sua. Qualsiasi desiderio, qualsiasi tentazione, aveva sempre ceduto a tutto e aveva sempre cercato qualcosa di più forte, più intenso, più malato.

Era nato in una famiglia ricca e già a tre anni pesava più di 50 chili. Mangiava qualsiasi cosa, carne, salumi, formaggi, dolci, caramelle, torte, paste, biscotti e ne voleva sempre di più. Aveva cominciato a masturbarsi a 3 anni, non aveva mai avuto alcun senso del pudore. Si mordeva le unghie, si attorciliava i capelli, si metteva le dita nel naso e poi in bocca e poi nelle orecchie e poi di nuovo in bocca, poi negli occhi e così via. Era proprio un maialone.

A 8 anni aveva obbligato una delle cortigiane a fargli un pompino e a 11 anni se ne era chiavata una per la prima volta. Entro i 12 anni era già assuefatto ai liquori, alla birra e al vino e non disdegnava oppio e oppiacei, eccitanti e calmanti di qualsiasi genere. Insomma era un vero junkie. Tutto gli andava bene, tutto ciò che potesse dargli sensazioni forti. Però le sensazioni forti non bastavano mai. E così era sempre alla ricerca di qualcosa di più forte. Prima dei 15 anni aveva infatti messo su un giro di scommesse su combattimenti alla morte tra gladiatori e aveva adibito un’intera ala del palazzo al gioco d’azzardo.

Un'altra ala del palazzo, invece, era dedicata esclusivamente ai giochi sessuali, con centinaia di prostitute ovunque. Entro i 13 anni aveva già organizzato orge di ogni tipo e di ogni sesso. Donne, uomini, travestiti, ermafroditi, eunuchi, tutto faceva brodo. Buddha si divertiva a prendere parte alle ammucchiate più selvagge e mescolate. Dopo qualche mese però anche le cose più malate lo stufavano e doveva pensarne delle altre. Fighe e culi slargati fino a infilarci un braccio e persino un piede, doppia e tripla penetrazione, pissing, gente che si faceva cagare addosso, obbligata a mangiare la merda di altri. Ma più si spingeva in là, più non gli bastava mai.

Così coinvolse nelle orge anche cavalli, cani e persino elefanti. Costringeva donne e uomini a fottere e farsi fottere dagli animali. A farsi cagare e pisciare addosso. Ma ancora non bastava, così costrinse schiere di bambini dei villaggi circostanti, da pochi mesi di vita a cique anni, a entrare a far parte delle orge. C’erano bambine che per essere chiavate da cazzoni enormi dovevano avere le fighette squartate con un coltello. Bambini a cui venivano tranciati gli arti per creare nuovi orefizi atti alla copulazione. Sangue, merda, sborra e altri liquidi corporei ovunque. Ma a Buddha queste sensazioni estreme non erano ancora sufficienti. Ormai il suo intero essere era come un buco nero che si nutriva di sensazioni ma che non poteva mai essere sazio.

Così passò alla tortura. Faceva legare gente che poi veniva tagliata a pezzi in tutti i modi. Persone innocenti che venivano appese a testa in giù per rimanere coscienti mentre veniva lentamente tagliata a metà con una sega, gente obbligata a bere quintali d’acqua mentre tutti i possibili orefizi vienivano cuciti e sigillati, gente obbligata a sedersi su un cuneo con pesi legati alla caviglie per venire lentamente divisa in due tra atroci sofferenze, gente che veniva spellata viva, squartata con spazzole di ferro. Ma tutto questo ancora non bastava mai.

Allora il Buddha si diede alla droga pesante e all’autodistruzione ma ancora gli mancava sempre qualcosa. Ritornò all’alcol e ci mise tutta la sua volontà per autoannientare quella sensazione di incompletezza che aveva dentro con il liquore ma non bastava, non bastava, non bastava. Con il liquore, nello stadio peggiore della sua assuefazione alcolica, riusciva solo per qualche minuto ad anestetizzare la sensazione, la fame di sensazioni.

Così ora il Buddha, solo, seduto a quel bancone, pensava a ciò che era stata la sua vita. A tutto il male e il dolore che aveva causato. A come aveva sempre cercato qualcosa, una sazietà che non esisteva. Ma non sapeva come fare a non sentire più quella voglia di sensazioni. Visto che il sesso, la dorga, la tortura e la violenza non funzionavano più per lui, decise di darsi completamente al gioco d’azzardo, pronto a perdere tutti i suoi averi.

Questo funzionò. Perdere tutto fu un’emozione senza paragoni, la più forte emozione che avesse mai provato. Dopo poco il Buddha si ritrovò completamente sul lastrico, senza un soldo, senza amici, senza desideri, e soprattutto senza quella fame di sensazioni che tanto a lungo lo aveva perseguitato. Fu quella la sua più grande illuminazione. Non aveva più niente e soprattutto non avrebbe mai più potuto avere nulla. Non avrebbe più potuto far male a se stesso e a nessun altro.

Era ancora un ciccione schifoso, ex alcolizzato, colpevole dei più terribili crimini che la mente umana possa concepire, eppure ora era in pace. Così decise di diffondere questo concetto: la pace può essere ottenuta solo attraverso l’abbandono delle sensazioni terrene e di tutti i beni materiali. Il cibo, l’alcol, le droghe sono pericolosi e dannosi per l’anima e solo rinunciando a tutti i voleri terreni si può raggiungere il Nirvana.

Il Buddha diffuse il suo messaggio e in poco tempo divenne noto in tutto il sudest asiatico. La gente veniva da tutti i luoghi per rendergli omaggio e liberarsi di tutti i beni materiali. E il Buddha li raccoglieva e raccoglieva le persone sotto la sua ala protettrice. E in poco tempo, a forza di raccogliere i beni materiali abbandonati dalla gente, divenne ancora più ricco di prima, e soprattutto aveva un potere ancora maggiore sulle persone che lo circondavano. Poteva chiedergli di fare assolutamente qualsiasi cosa e loro avrebbero ubbidito. E così fece. Le mangiate e le bevute ricominciarono, e anche le orge, che presto si rimescolarono alla tortura e alla violenza. E la fame. La fame era tornata più violenta che mai e ormai Buddha era fuori da ogni controllo. Viveva perennemente in un miscuglio di orrori che lo aveva portato a mangiarsi i corpi ancora vivi delle persone che si stava fottendo, in un castello degli orrori dove ogni sensazione andava obbedita. Ora però la fame e la voglia non erano più così intense. Non che questo limitasse la sua crudeltà e violenza, però si rendeva conto che non sentiva lo stesso bisogno di sensazioni forti che sentiva prima della cura purificante del Nirvana. Aveva raggunto uno stato di pace tale che si sentiva perfettamente a suo agio agendo nella maniera più indiscrimanta possibile.

Un po’ alla volta ricominciò ad abbandonare tutte le sue proprietà terrene, i suoi averi e smise di esercitare il suo potere sulla mente dei suoi seguaci. Riprese a predicare l’abbandono delle sensazioni terrene per raggiungere il Nirvana e si trovò di nuovo senza nulla e in pace con l’universo. Mangiava e beveva il minimo, dormiva per terra e meditava tutto il giorno e la notte. Era un santo.

Poi un giorno si svegliò e riprese a comportarsi da demonio. Poi ancora da santo. Poi ancora da demonio. E anche quando faceva il demonio c’erano momenti in cui si comportava da santo e quando si comportava da santo ogni tanto faceva il demonio a sprazzi. Quando era santo si circondava di luce, quando era demonio viveva nell’oscurità. A volte prefriva le donne, a volte gli uomini. Lo Ying e lo Yang. Il Buddha capì che il segreto del Nirvana non era cercare le sensazioni più forti o rifiutare qualsasi sensazione bensì fregarsene altamente di tutto e tutti e fare quel che si ha voglia di fare.

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