mercoledì 24 dicembre 2008

CAPITOLO UNDICESIMO




MAOMETTO E IL SUO AMIKETTO

Visto che Gesù Cristo non ebbe figli, la linea ancestrale della mia famiglia che porta ai giorni nostri va ricercato in un'altra diramazione genealogica del ceppo di Shem, figlio di Noè. Il primo propropropropropropropropropropropropropropropropropropropropropropropropropro
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propropropropropro genitore di cui si abbiano notizie nacque in una città chiamata La Kecca (oppure Al Caccah, nella lingua madre della regione), circa cinque secoli dopo Cristo. Si chiamava Muhammad ma il suo nome diventò Maometto perché faceva rima con frocetto, culetto, fighetto e con il suo amichetto, che gli stava sempre vicino. Inutile stare a spiegare che Muhammad, o Maometto, era un gran ricchione.
Maometto apparteneva a un clan di magnaccia ma era orfano del padre fin dalla nascita e quindi, allevato dalla madre, i suoi modi di fare erano diventati particolarmente effemminati. Quando anche sua madre morì pochi anni dopo, Maometto arrivò a idolatrarla nella sua mente, finendo così per voler essere come lei, una donna a tutti gli effetti.
Maometto fu allevato da suo nonno Incul-At-Eh e da suo zio paterno Abu-Sadim-Eh che erano due depravati pedofili incestuosi e lo sfruttarono sessualmente per anni.
Un giorno, suo nonno e suo zio lo portarono in Siria per farlo prostituire con un monaco cristiano di nome Sbahvhoso che rimase talmente colpito delle doti amatorie del giovane Maometto (dalle parti della Siria non c'erano molti puttani) che decise di voler tenerlo con se.
"Questo frocett… cioè Maometto è il grande profeta del godimento!", annunciò, "L'ho riconosciuto dal buco nero tra le sue chiappe, cioè… volevo dire dal neo tra le sue scapole".
Gli zii erano già pronti a trattare ma un'altra zia di Maometto, Fatti-mast-Urbar, anch'ella puttaniera ma molto più abile ad amministrare il business degli zii sudicioni non ne volle sapere e insistette per tenere il piccolo Maometto con se, intravedendo possibilità di guadagno ben più importanti di quanto quello straccione del prete siriano avrebbe mai potuto pagare.
"Non se ne parla neanche", disse zia Fatti. "Non me ne frega niente se Maometto è un profeta, lui è nostro e rimane con noi".
Ma nulla potè Zia Fatti quando arrivò un'offerta particolarmente sostanziosa da parte della ricca vedova Vahjina ibn Kahlor, che comprò Maometto da usare come mobiletto vicino al suo letto.
Si dice che solesse andare in giro dicendo "E questo Maometto dove lo metto? Lo metto nel cassetto o lo tengo in armadietto? Lo butto dal muretto o me lo infilo nel reggipetto? E' solo un mobiletto, lo tengo vicino al letto". Inutile spiegare che Vahjina ibn Kahlor era completamente pazza.
Ad ogni modo, vivendo con Vahjina ibn Kahlor, Maometto conobbe per la prima volta dalla morte di sua madre un po' di pace e serenità, tanto che arrivò persino a sposarla all'età di 24 anni. Ovviamente Maometto e Vahjina non fecero mai sesso ma essendo lei, oltre che pazza, molto ricca, era circondata da puttani che la trombavano regolarmente in cambio di un po' di vitto e alloggio e fu così che Maometto si ritrovò ad avere ben quattro figlie (Muh-yalah, Umm-Ori-Fluenti, oltre alle gemelle Fah-di-Meh e Quel-Keh-Vuoj) e due figli che però Maometto uccise quando erano appena nati per l'odio viscerale che ormai provava per tutti gli uomini a causa degli abusi subiti.

L'ossessione di Maometto infatti era di vendicarsi, trovare un modo per punire tutti gli uomini per ciò che aveva dovuto passare da piccolo. Non dovendo lavorare per vivere grazie alla ricchezza di Vahjina, Maometto potè concentrarsi su questa ossessione.
La soluzione gli si presentò come per miracolo. Maometto era in una grotta dove andava a farsi chiavare di nascosto. I froci venivano condannati a morte quindi doveva nascondersi e farsi trombare nelle grotte dove di notte bazzicavano i puttani. Nell'apice dell'orgasmo anale capì che il modo migliore per vendicarsi era di convincere gli uomini a credere in una religione talmente bastarda che li privasse di tutti i piaceri della vita, illudendoli invano di trovare tutti i piaceri nell'aldilà. Prima di tutto doveva inventarsi il nome del Dio di quella religione ma non aveva molta fantasia così lo chiamò Allah, cioè Dio. Era un po' come chiamare il proprio cane Cane o il proprio gatto Gatto.

Sentendosi chiamato in causa Dio si risvegliò. Da quando era arrivato Gesù sulla Terra, in tutti i territori cristiani lui era ormai passato in secondo piano. Ma non aveva più tanta voglia di lottare per farsi adorare come quando era giovane. Gli bastava quel poco di attenzione che gli davano ebrei e cristiani per esistere, facendosi i cazzi suoi senza dannarsi troppo. Però questo Maometto gli stava proponendo un'opportunità unica, da non lasciarsi sfuggire. Praticamente Maometto gli offriva di tornare a dominare tutti gli affari terrestri, mentre lui si sarebbe limitato ad assumere il ruolo di profeta: una partnership in cui Maometto avrebbe fatto il marketing e le PR, diffondendo il marchio "Allah" (visto che Dio era già sotto copyright dei cristiani e Jahovah degli ebrei) e Dio non avrebbe dovuto fare un bel nulla.
Così si presentò da Maometto, questa volta vestito di bianco, facendo finta di essere un suo emissario per conferirsi una maggiore importanza.
"Quindi vorrei… cioè Allah vorrebbe sapere… praticamente tutte queste vergini che prometti nell'aldilà… ovviamente è una balla vero? Perché se potessi… cioè se Dio potesse avere tutte quelle vergini strafighe certamente non le regalerebbe a dei cazzo di umani straccioni e per di più morti".
"Chiaro, chiaro. Tutte balle, solo per incularli meglio"
"Quindi il tuo obiettivo è solo metterlo nel culo all'umanità?"
"Sia figurativamente che letteralmente, direi"
"E cosa succede a chi disobbedisce alle tue… cioè alle mie… cioè alle leggi di Allah?"
"Beh… lo uccidiamo no?"
"Chiaro, chiaro, mi piace il tuo modo di pensare".
"Quindi in cosa consisterebbero le tue… cioè le mie… cioè le leggi di Allah?"
"Allora… cercherò di essere breve. Prima di tutto ci saranno dei concetti di base come la necessità di credere in Allah come solo e unico Dio e Maometto come suo profeta. Poi la solita solfa del paradiso per i seguaci e dell'inferno per chi non crede. Questa volta, come ti dicevo, farei il paradiso più divertente di quello cristiano, con, appunto, le vergini da bombare, cibo, alcolici e droga a fiumi. Questo, ovviamente, per assicurarci la fedeltà dei credenti e ottenere più facilmente la loro disponibilità al martirio. Per quanto riguarda le basi del credo, pensavo a 5 pilastri e anche qui non è che ci sia molto da dire… Punto primo è diffondere la religione, così che ci sia ancora meno lavoro da fare per noi. Punto secondo è l'esecuzione della preghiera, così che quei bastardi devono rompersi le balle ogni giorno, direi almeno cinque volte al giorno, per ricordarsi di Allah e Maometto: più li teniamo sotto torchio meno rischieremo di perderli per strada…"
"Bello, questo mi piace un sacco", lo interruppe Allah, "Cioè, volevo dire, sono sicuro che a Dio gli piacerà un casino: essere venerato gli da un potere maggiore".
"Bene, bene ma non è finita: affinchè le preghiere siano valide obbligheremo quei bastardi a seguire delle regole precise che garantiscano la loro purezza, come ad esempio il divieto di bere alcol o l'obbligo di vestiario adeguato: le donne le faremo coprire dalla testa ai piedi così gli uomini non potranno più vedere neanche un po' di coscia o pancia o altre parti che piacciono a quei bastardi. Senza l'alcol e senza vedere i corpi delle loro donne vedrai che quei bastardi non tromberanno più neanche per sbaglio e faranno qualsiasi cosa per avere le vergini in paradiso".
"Mi sembra un po' esagerato ma se lo dici tu…"
"Lasciami finire. Ovviamente obbligheremo tutti i credenti a pagarci delle tasse. Diremo che è un dovere imposto da Allah per il benestare del profeta. Questo è il mio guadagno per il lavoro che farò per te. Spero che tu non abbia niente in contrario".
Dio, che di soldi non ci capiva niente, disse che era d'accordo.
"Infine – concluse Maometto - anche se non serve assolutamente a nulla se non a farli soffrire inutilmente, li obbligheremo a digiunare per un intero mese e ad affrontare vari pellegrinaggi massacranti verso posti sacri che mi inventerò. Ovviamente sia durante il mese di digiuno, sia durante il pellegrinaggio, saranno obbligati a pregare come dei dannati".
"E questo non può che farmi piacere", disse Dio entusiasta. Il tuo piano malvagio mi sembra assolutamente geniale".

"Ora però bisogna scriverlo", disse Maometto, "tu sei capace?"
"Io veramente no, l'ultima volta che ho dovuto scrivere una roba me l'ha scritta Mosè".
"Porcodd… anch'io sono analfabeta. E mo' che facciamo?"
"Spe – disse Dio – mo' ci penso io. Vado a prendere un ebreo. Quelli lì alla fine fanno sempre quello che gli chiedo e poi sono tutti istruiti. Si vede che a forza di prenderlo nel culo da me qualcosa hanno imparato. Dopotutto sono stati il primo popolo a cui ho rotto i coglioni".
Ormai Dio non faceva più neanche finta di essere il suo emissario.
Così Dio portò un vecchio commerciante ebreo al quale Maometto dettò il suo Cor-ano, così chiamato perché i contenuti venivano un po' dal cuore di Maometto e un po' erano cagate provenienti dal suo culo.

Ora che il credo era nero su bianco nel Cor-ano, Maometto, con il benestare di Dio, cominciò a predicare la sua religione ma, ovviamente, nessuno aveva la benchè minima intenzione di dargli corda e seguire una religione così assurda dove in cambio di un ipotetico paradiso post mortem pieno di ogni ben diddio bisognava rinunciare a qualsiasi divertimento terreno.

Intanto, nel 619, morirono suo zio Abu-Sadim-Eh e sua moglie Vahjina ibn Kahlor e Maometto si sentì per la prima volta libero. Non nutriva più l'odio per tutti gli uomini a causa di suo zio e non era più legato a quella pazza psicotica di sua moglie. Così Maometto si risposò con Ah-Miketto Suk-kia-Caz, che era un uomo ma era talmente effemminato che Maometto riuscì con successo a farlo passare per una donna al matrimonio. Quandò però il segreto venne scoperto, Maometto fu costretto a scappare con Ah-Miketto per rifugiarsi a Yathrib, a 200 miglia da La Kecca.

Qui Maometto si rese conto che per riuscire a imporre il suo credo sulla gente doveva per forza condividere i benefici della religione con altri 10 stretti collaboratori ai quali spiegò le sue intenzioni. Erano dieci puttani omosessuali che egli chiamò i 10 benedetti, principalmente perché gli avevano lasciato benedire il loro culo. Così, un poco alla volta la comunità di credenti si allargò e prese il nome di Cum-ma.

Così Maometto divenne abbastanza forte per marciare su varie città tra cui Medina. Gli sconfitti furono barbaramente torturati e trucidati dai soldati di Maometto, che potè così sfogare il proprio odio. Le donne e i bambini furono schiavizzati e obbligati a seguire gli insegnamenti del Cor-ano.

Nel 630 Maometto e il suo esercito marciarono su La Kecca e la conquistarono, portando la Cum-ma al suo massimo splendore. Maometto era potente e venerato da tutti e come al solito, Dio cominciò a indispettirsi e a ingelosirsi. Va bene Gesù, ma proprio non sopportava che un umano vivente fosse così al centro dell'attenzione. Allora scese a parlare con Maometto.
"Senti Mao, va bene tutto però non mi sembrava che gli accordi fossero così. Tu avevi detto che avresti fatto il marketing per me, non per te stesso".
"Infatti. Sto diffondendo ovunque la parola di Allah"
"Ma la parola di Allah è la tua parola. Alla fine la gente venera te, non me".
"Senti Dio, non rompere il cazzo. Sto facendo quel che posso. Se non ti va fottiti!"
Dio era furibondo ma non era uno che si era mai scontrato direttamente con i forti, aveva paura del confronto. Così inviò il suo fedele aiutante, Satana, sulla Terra per sviare Maometto dal suo compito.
Visto che Maometto era completamente omosessuale e legatissimo al suo Ah-Miketto, Il diavolo questa volta assunse le sembianze di un uomo bellissimo. Come quando si tramutava in donna, anche sotto questa forma, era impossibile resistergli e Maometto, quando un giorno gli fu presentato da un qualche magnaccia locale, non fu da meno.
“E tu chi saresti bello mio?”, gli disse Maometto vedendolo
“Sono un diavoletto”, gli rispose Satana ammiccando
“Ah ma non mi sembri cattivello”, continuò Maometto flirtando pesantemente. Il cazzo gli stava esplodendo
“Posso esserlo, se tu lo vuoi”, preseguì Satana
“Allora vieni qui con me che ti faccio vedere il paradiso, mio caro diavoletto”
“Oh ma io il paradiso lo trovo così noioso. Vieni con me bel maschione che ti porto all’inferno”
Maometto era così eccitato che non ci capiva più niente e si lanciò dal suo trono per afferrarlo. Il diavolo si spostò con un movimento quasi impercettibile e Maometto cadde per terra. “Oh poverino” disse con la sua risata sexy da transessuale. Vieni con me che ti farò sentire meglio” E così si incaminò vero gli inferi
Maometto doveva averlo. Non resisteva. Lo desiderava così tanto che, nel 632 DC, lo seguì, correndo con il cazzo che gli penzolava davanti e sbavando, fino all'inferno.

Nell'aldilà Maometto non aveva più alcun potere e Satana, su comando di Dio, lo punì severamente, sbudellandolo. Un giorno Dio si recò a fargli visita. Era curioso di vedere come se la passava. E lo vide lì, con lo stomaco squartato. Tra le gambe gli pendevan le minugia, la corata pareva e 'l tristo sacco che merda fa di ciò che si trangugia.

mercoledì 17 dicembre 2008

CAPITOLO DECIMO


GESU' GEGIU' GEPIU'

SECONDA PARTE

A questo punto Gesù si ritirò nella sua tenda con una puttana dodicenne che si chiamava Maddalena. Nonostante la sua giovane età Maddalena era già stata chiavata praticamente da tutti, tranne che da Gesù che non ne aveva ancora avuto l'occasione. Per molti era lei la vera erede di Maria come la più grande chiavatrice di Israele e Gesù, che poteva imaginarsi la sua eccitazione a mille all'idea di chiavarsi allo stesso tempo una versione di sua madre giovane e una bambina di 12 anni aveva voluto tenersela per un'occasione speciale ed era sicuro che quell'occasione fosse arrivata. Si portò Maddalena nella tenda e la fece spogliare. Il suo cazzo fremeva sotto la tunica con una sensazione di eccitamento che mai aveva provato prima. Lei si masturbava in attesa della penetrazione. Quando Gesù stava per infilarglielo dentro, però, il suo cazzo si ammosciò imporvvisamente e lui si rese conto che lei non lo attirava più e che non riusciva a pensare ad altri che a Giuda Idiota: era diventato completamente omosessuale. "Non posso farlo", disse Gesù a Maddalena.

Lei si arrabbiò furiosamente, da una parte la rabbia di non essere attraente per uno che, si sapeva, si era chiavato di tutto e di più, sensazione particolarmente fastidiosa per una che faceva dell'attrazione degli uomini la propria fonte di guadagno, dall'altra lo schifo per un uomo infimo e ignobile quale era Gesù quando il suo cazzo non era dritto e duro per tutta la lunghezza del suo mezzo metro. "Tu sei come gli altri", gli disse, "non far finta di non esserlo".
Gesù non rispose. Si sdraiò di fianco a lei avvolto nel suo silenzio. Quando dopo un po' uscirono dalla tenda nessuno dei due disse nulla ma era chiaro a tutti che tra loro non era successo niente.
"Il nostro signore ha rifiutato la tentazione della carne", disse uno degli apostoli. "Ci sta insegando la via. Bisogna rifiutare la tentazione!".
Gesù non poteva crederci ma non aveva ne la forza ne la voglia per dire a loro di andare tutti affanculo e rimase zitto, lasciandoli liberi di perdersi per strade avverse. Non gliene fregava più niente, voleva solo rivedere il suo Giuda Idiota.
Proprio in quel mentre arrivarono le guardie dei sacerdoti farisei e li scoprirono. Giuda Idiota era con loro, legato e imbavagliato.
Una delle guardie si rivolse a Gesù e ai suoi: "Chi di voi è Gesù?"
Nessuno rispose.
"Non lo sapete? Bene. Noi sappiamo come farti saltare fuori impostore culattone. Questo finocchio qui, Giuda, ci ha raccontato tutto del vostro amore segreto".
A questo punto Giuda venne slegato, una delle guardie gli ordinò di piegarsi a novanta. Giuda, che probabilmente aveva già subito abusi di tutti i tipi in galera ubbidì senza proferir parola e una delle guardie cominciò a incularlo.
Gesù non sopportava quella vista, non sopportava di vedere il suo Giuda che lo tradiva così e godeva con il cazzo di un altro uomo ma rimase in silenzio perché sapeva che parlare avrebbe voluto dire morte sicura.
"Ancora non volete parlare? Va bene. Allora beccatevi questo". Un'altra delle guardie cominciò a inculare Giuda che ora aveva due cazzi nel suo culo e urlava dal dolore misto all'estremo godimento. Gesù non ce la faceva più ma rimase in silenzio.
"Non ti basta eh finocchio? Avanti un altro. Un'altra guardia, con un cazzo ancora più grosso, si intrufolò tra le altre due e comiciniò a pompare nel culo di Giuda che emise un grido che sembrava provenire dall'altro mondo.
Gesù non resistette più. "Bastardo traditore", urlò in lacrime lanciandosi verso Giuda. "Come hai potuto? Mi hai tradito non una, non due ma ben tre volte brutto bastardo".
Le guardie non aspettavano altro. "Così sei tu quel culattone di Gesù".
Lo afferrarono e lo trascinarono via con loro. Gesù era troppo psicologicamente distrutto per ribellarsi e andò senza opporre resistenza ma prima di andare urlò verso Giuda: "Tornerò mio caro, tornerò tra non più di tre giorni. Dovessi morire ma tornerò". Giuda purtroppo non lo sentì e si suicidò dal dolore, ma altri lo sentirono.

Il giorno dopo Gesù venne riconosciuto colpevole di blasfemia e condannato a morire sulla croce. Ponzio Pilato, il console romano incaricato di prendere una decisione sul suo conto, era una checca isterica ed era troppo schifato dall'essere immondo, sudicio e imbrattato di fango, sudore, sangue e merda del culo di Giovanni, che i sacerdoti ebrei gli avevano portato innanzi. "Piuttosto che giudicare lui lascio libero questo qui", disse ai sacerdoti indicando Barabba, un criminalotto locale, ma i sacerdoti non ne volevano sapere e glielo trascinarono proprio davanti, tanto che Ponzio, sbilanciandosi gli cadde addosso. "Che schifo!", urlò. "Devo andare a lavarmi le mani!" e corse fuori dal salone. I sacerdoti interpretarono questo comportamento di Ponzio Pilato come un via libera e annunciarono che Gesù sarebbe stato ucciso l'indomani sulla croce, dopo essere stato purificato con la tortura.

"Tu morirai sulla croce Gesù", annunciò Kaifa
"Cristo!", urlò Gesù.
"Cosa hai detto? Il tuo nome non è forse Gesù?"
"No è che dicevo 'Cristo', nel senso: Cazzo! Non voglio morire".
"Deciditi", disse Kaifa, il tuo nome è Cristo o Gesù?"
"Io sono Gesù! Cristo!"
"Ah, ok. Sei Gesù Cristo, non avevo capito, pensavo ti chiamassi solo Gesù".
"No…", cominciò Gesù ma si fermò. Era inutile discutere con quegli idioti.
"Allora confessa Gesù Cristo!" gli intimarono, "Tu non sei figlio di Dio!"
"E' vero", disse Gesù. "Io sto cazzo di Dio di cui parlate non l'ho mai nemmeno sentito nominare"
"Ma se te lo abbiamo visto nel tempio?"
"Cosa?"
"Il cazzo di Dio… te lo abbiamo visto nel tempio. E' lungo più di mezzo metro".
"Sì, ma cosa c'entra? Il cazzo è mio non è di Dio".
"Hai detto che il cazzo di Dio non l'hai mai nemmeno sentito nominare e invece noi sappiamo che hai il cazzo di Dio e quindi se un bugiardo", tagliò corto Kaifa.
"Ma io non centro niente con Dio. Voglio solo andarmene a casa".
"Smetti di nominare il nome del nostro signore". Domani tu morirai sulla croce per espiare il tuo peccato".
Anche Gesù, che non era il più sveglio degli uomini, capì che non c'era molto da fare. Avevano deciso di ucciderlo per l'affronto del tempio e l'avrebbero ucciso. Così si rassegnò, sperando che nella notte qualcuno sarebbe venuto a salvarlo.

Invece tutti si erano già dimenticati di lui e si erano messi a seguire un nuovo figlio di dio di nome Eugenio, che secondo una nuova leggenda metropolitana aveva il culo più slargato di tutto il Mediterraneo.
L'indomani, quando le guardie romane andarono a prenderlo, Gesù scoppiò in un pianto furibondo: Lasciatemi, lasciatemi vi prego io non sono il figlio di Dio. Lo giuro sono una nullità, non conto un cazzo. Guardate me lo sto anche facendo addosso. Pensate che il figlio di Dio se la farebbe addosso?".
In effetti Gesù se la stava facendo addosso ma le guardie non ci fecero caso e lo trascinarono sulla piazza dove sarebbe stato torturato fino a che avrebbe confessato il suo peccato.
Gli misero in testa una corona di spine e lo incatenarono al tavolo della tortura, dove sarebbe stato fustigato.
"Lasciatemi, lasciatemi, lasciatemi", urlava Gesù in lacrime. Vi prego lasciatemi andare.
Ovviamente i lamenti di Gesù erano a vuoto. I boia romani erano sordi alle grida dei torturati, anzi sembravano trovarci gusto. Così, dopo aver legato Gesù, cominciarono a frustarlo. Gesù non osava immaginare il dolore che stava per provare. Lui non aveva mai sentito il dolore fisico in vita sua anche se spesso lo aveva inferto ad altri. Così si stupì tantissimo quando la prima frustata si scagliò contro la sua schiena e lui non provò alcun dolore ma solo un'intenso godimento. Un godimento così intenso che non disse parola ma si limitò a godere in silenzio per non perdersi neanche un momento di quella goduria.
Così le fruste dei romani continuavano ad accanirsi contro di lui e lui continuava a godere. Anche quando le fruste gli strappavano brandelli di carne viva lui sentiva solo piacere. Si era dedicato tutta la vita a infliggere dolore sugli altri con il suo cazzone gigante e ora scopriva la sua vera vocazione: non era sadico ne frocio, era un masochista, il più grande di tutti i masochisti.
Ora che tutti potevano sentirlo i sacerdoti ebrei gli intimavano di confessare il suo peccato ma lui non ne voleva sapere. Voleva solo che quelle frustate continuassero a schiantarsi contro la sua schiena e soprattutto contro il suo culo. Sanguinava e godeva, godeva e sanguinava e la gente era ammutolita da quella che sembrava una passione incredibile, una passione vera, perso come era ora nella lussuria più intensa che avesse mai provato in tutta la sua vita.
E quando gli misero la croce di legno in spalla e gli ordinarono di camminare fino alla cima del monte del Calvario furono le frustate a dargli la forza di andare avanti. Ogni frustata era un godimento tale che, pur uccidendolo lentamente, come una droga, lo riempiva di energia.
E la gente a vedere quella che sembrava un'incredibile prova di coraggio e di forza, una stoicità senza precedenti cominciava a parteggiare per lui e il suo mito cresceva ad ogni passo e Dio, dall'alto lo capiva e la cosa non gli piaceva affatto: aveva fatto male i suoi conti un'altra volta.
Così si arrivò alla cima del monte e gli piantarono i chiodi nelle mani e nei piedi, altro godimento, ancora più intenso che lo vece venire. L'ondata di sborra che uscì dal suo cazzo gigante lo ricoprì. La gente che accorreva dopo aver udito delle sue gesta e chiedeva chi era si sentiva rispondere: "è Gesù Cristo" e a vederlo lì, tutto unto e appiccicaticcio, dicevano: "Eh già: è proprio cristo".
Lo issarono a fianco di due ladroni, anch'essi condannati a morire sulla croce. Ma la voce della passione di Gesù Cristo si era già diffusa in tutta Gerusalemme e oltre. Anche Maria, entusiasta dell'idea di avere un figlio famoso, e Maddalena erano accorse per essergli vicino e vivere un po' di luce riflessa negli ultimi attimi della sua vita. Quando Gesù le vide voleva dirgli di andarsene ma tra il godimento e il dolore non riuscì a proferir parola.
Così, verso sera, stramato dalla goduria e dalla perdita di sangue, morì Gesù sulla croce e il suo mito divenne infinito, quasi pari a quello del Padre. Che si incazzò di bestia e fece venir giù una pioggia che doveva essere un nuovo diluvio universale, prima di distrarsi con un film porno e dimenticarsi dell'intera faccenda.

Tre giorni dopo la morte di Gesù, alcuni apostoli, memori della frase pronunciata da Gesù al momento del suo arresto (tornerò tra tre giorni, dovessi morire ma tornerò), si recarono nella cava dove era stato sepolto e trovarono il suo corpo. Era ancora morto ma il rigor mortis aveva reso durissimo il suo cazzo gigante e tutti se lo chiavarono a turno, in nome dei vecchi tempi e ne narrarono le gesta e ne scrissero libri. Gesù era tornato. O almeno il suo cazzo era rinato per dare loro paradiso. E così il mito di Gesù visse in eterno, accanto a quello di suo padre Dio.

lunedì 15 dicembre 2008

CAPITOLO NONO



GESU' GEGIU' GEPIU'

PRIMA PARTE

Dopo Adamo, Abramo e Isacco, Noè, Mosè, i Greci, i Troioni, i Rom-ani e Buddha e non si seppe più nulla della mia stirpe fino a che, nell’anno zero, nacque un tizio di nome Gesù, che, a quanto pare, era il mio propropropropropropropropropropropropropropropro
propropropropropropropropropropropropropropropro
propropropropropropropropropropropropropropropro
propropropropropropropropropropropropropropropro
propropropropropropropropropropropropropropropro
propropropropropropropropropropropropropropropro
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proproproproproproproproproproproproproproproprogenitore. Gesù diceva di essere un discendente diretto di Dio. Anzi diceva addirittura di essere figlio di Dio e infatti, come Dio, aveva un modo di fare assolutamente da bastardo.

La madre di Gesù era una puttana di nome Maria. Suo padre uno sfigato di Nome Giuseppe che aveva avuto la sfiga di perdere la testa per quella zoccola incallita di Maria. Curiosamente Maria negava tutto a Giuseppe, anzi gli giurava e stragiurava su Dio di essere ancora una vergine, timida e spaventata dal sesso. Intanto però si trombava tutta la popolazione maschile di Nazareth e anche molte delle donne. L’unico a cui non la dava mai era Giuseppe, proprio perché ormai ci provava gusto a vederlo soffrire come un dannato.

Dio, che fin dai tempi di quella gran porcona di Eva non si lasciava sfuggire le notizie di umani in grado di performare azioni strepitose, aveva sentito della fama di grandissima chiavatrice di Maria e aveva deciso che ne voleva un pezzo anche lui. Così si era materializzato nella sua forma più umana, il solito bestione peloso e superdotato (alla Ron Jeremy) che nei secoli dei secoli si era trombato regolarmente Eva, Sara eccetera eccetera, e si era recato nella capanna che Giuseppe divideva con Maria. Giuseppe era, come ogni giorno, al lavoro nella sua bottega di falegname a farsi le seghe (non a caso era diventato falegname, con le seghe ci aveva sempre saputo fare) e Dio si era intrufolato in casa. Davanti al letto di Maria, però, c’era già la fila. Lei era distesa sul letto con un uomo sotto che glielo infilava nel culo, uno sopra che glielo metteva nella figa, un altro in bocca e due in mano. Dio tirò fuori il suo cazzo da 50 cm con 10 cm di diametro e quando lo videro tutti si spostarono a lato in ammirazione totale.

In ginocchio idioti!”, ordinò Dio. E Tutti obbedirono prontamente. “Tu puttana comincia a succhiare”.

A Maria, a vedere quel cazzone gigantesco, le si sgranarono gli occhi e cominciò a sbavare. Liberatasi dei cazzettini che aveva addosso, in un balzo gli era già addosso e ne aveva ingoiato quasi la metà. Dio glielo spingeva in gola facendole salire dei conati che li eccitavano entrambi. Quando era al massimo dell’erezione, Dio prese il suo cazzone in una mano e, girando Maria sul letto, glielo infilò nella figa e cominciò a pompare.

Maria non poteva credere a tutto quel godimento. Il cazzone di Dio le arrivava quasi in gola e quando Dio sborrò si senti invadere da un enorme fiume di seme caldo che sembrava inondarla. In vita sua Maria aveva fatto sesso con almeno 10.000 uomini e non era mai rimasta incinta. Era sicura di essere sterile ma immediatamente dopo la sborrata di Dio sapeva che questa volta non aveva scampo e che ci era rimasta per davvero.

Dio estrasse il suo enorme cazzo e la guardò. Maria era stesa sul letto con un fiume di sborra che le usciva dalla figa e le colava sulle gambe. Non paga, al solo pensiero di quel cazzone che l’aveva rimepita così tanto, cominciò a masturbarsi furiosamente e Dio ricominciò subito ad eccitarsi. Appena il cazzo gli si indurì di nuovo lo reinfilò dentro a Maria, questa volta nel culo, mentre i molti uomini presenti nella stanza guardavano in ammirazione totale. E cominciavano a masturbarsi. Dio pompò e pompò e tutti gli altri intorno si mastubavano tanto che quando Dio fu di nuovo pronto per venire lo erano anche loro e Maria fu sommersa da un’enorme doccia bianca.

Quella notte Maria sentì il pancione che cominciava a gonfiarsi e capì che in qualche modo doveva parlarne con Giuseppe. Sapeva che non era possibile che si gonfiasse così rapidamente eppure era così. Sentiva un essere che cresceva dentro di lei.

“Caro, devo dirti una cosa”
“Certo cara. Cosa?”
“Penso di essere incinta”
“Cosa???”, esplose Giuseppe. “Brutta puttana! Zozzona bastarda, allora è vero quello che si dice in giro. Io non ci volevo credere. Traditrice, zoccola, mi avevi giurato di essere vergine!”
“Ma amore. Come puoi pensare una cosa simile? Io ti ho sempre detto la vertià. Io sono vergine”.
“E allora come cazzo fai a essere incinta?”
“E’ stata opera della divina concezione. Dio mi ha fecondata per portare il messia sulla terra”,
“Ma non dire stronzate puttana”, urlò Giuseppe tirandole un ceffone che le spaccò un labbro.
“Sei un bastardo, sono stufa di te e dei tuoi maltrattamenti. Io me ne vado. Ti lascio!” gli urlò Maria alzandosi dal letto.
A quelle parole, Giuseppe, come suo solito, all’idea di essere lasciato, si mise a piangere come un bambino e a implorare Maria di rimanere. “Ti credo ti credo, perdonami. Non andartene ti prego”.
Maria sdegnata si rimise sotto le coperte. “Portami la cena”.
“Si, si. Te la porto subito amore mio”, diesse Giuseppe prima di andare, sottomesso, con la coda tra le gambe come un cane bastonato, in cucina.

Fu così che dopo nove giorni Maria diede alla luce Gesù. Durante il parto, la prima parte di Gesù a uscire dalla vagina di Maria fu il suo enorme cazzone che alla nascita misurava più del suo intero corpo. Una volta estratto il corpo, un’altra cosa apparve ovvia a Giuseppe. Il bimbo era nero. Un’altra volta Giuseppe sentì la collera salire dentro di se ma questa volta si placò da solo. Dopotutto, pensò, se davvero era divina concezione, chiccazzo lo sapeva di che colore era dio?

L’altra cosa che fu immediatamente chiara di Gesù fu che anche lui era un grandissimo rompicoglioni, un bulletto del quartiere, un sadico e, più in generale, un gran figlio di mignotta.

Fin da bambino si divertiva a far soffrire tutti coloro che lo circondavano. Inclusi Maria e Giuseppe. Spiava Maria che si faceva trombare e la ricattava minacciando di raccontare tutto a Giuseppe e poi andava da Giuseppe e lo prendeva in giro nascondendogli le cose che gli servivano per lavorare. Quando Gesù compì 9 anni, Maria e Giuseppe si ruppero definitivamente le scatole di lui e lo buttarono fuori di casa.

A quel punto Gesù si trasferì a Betlemme e dovette inventarsi qualcosa per tirare avanti ma coi tempi che correvano in Galilea non era facile. Ma lui era il figlio di Dio e qualcosa sarebbe riuscito a trovarla.

Guardandosi intorno Gesù vedeva molta miseria e poche opportunità. Tutti stavano male, anche molto peggio di lui. Erano disperati e affamati, avevano bisogno di una guida spirituale, di qualcuno che potesse insegnargli la via per stare meglio per combattere gli oppressori romani, per trovare dell’orgoglio dentro se stessi e i grandi capi degli ebrei pensavano più ai loro comodi che alla loro gente. Ma anche a Gesù non ne poteva fregare di meno di quegli sfigati.

Continuava a camminare senza una meta per le strade ma niente. Non riusciva a pensare a niente che potesse fare ne per se stesso ne, tantomeno, per gli altri sfigati di Betlemme. Fino a che, a un certo punto, inciampò su una pietra.

“Ma porcoddio cane bastardo e figlio di mignotta!”
Uno dei mendicanti lo sentì. “Cos’hai detto? Che c’è un dio?”
“No, no, è un modo di dire dicevo solo…”
“Sì, è vero allelujah c’è un Dio”, continuò lo sfigato barbone iperterrito.
“No no che cazzo stai dicendo? Non ho detto…”
“Sì, Sì”, aveva iniziato a urlare lo sfigato, “C’è un Dio e tu sei il suo messaggero. No, anzi, di più. Tu sei suoi figlio. Allelujah re dei re sei venuto a salvarci”
“Aò! Ma sei completamente rincoglionito? Io non so di che cazzo stai parlando mi vuoi lasciare in pace?”

Ma ormai una discreta folla, composta soprattutto di mendicanti ma non solo, si era radunata in cerchio intorno a Gesù e alcuni avevano anche già gettato delle monete e del cibo, che nessun altro osava toccare. A Gesù questo particolare non sfuggì e, raccogliendo i denari e il cibo, si rese conto che avrebbe potuto cavalcare la cosa almeno per un po’

“Sì”, disse alzando le mani e rivolgendosi alla folla. “Sono io. Sono venuto per voi. In nome di quel bastardo segaiolo di mio Padre, di me che sono suo figlio e di quello spirito santo di mignotta che è mia madre”.

“Sì, gli fece eco la folla. In nome del padre, del figlio e dello spirito santo! Amen!”

Così presto nuove persone si aggiunsero all’entourage di Gesù e, fintanto che portavano cibo e denaro, a lui andava bene così. In poco tempo aveva già più di 200 persone che lo seguivano dappertutto.

Alcuni, particolarmente generosi, Gesù se li teneva più vicini. E gli ordinava: ‘Mettetevi a posto, lì!”’ Così presero il nome di apostoli.

Di apostoli ce n’erano 13, di cui 6 erano donne e uno era un negro, come tra l’altro lo stesso Gesù. Solo che a quei tempi essere una donna mendicante era un po’ pericoloso per cui fingevano tutte di essere uomini. Gesù non perdeva occasione di abusare fisicamente e sessualmente sia delle donne che degli uomini ma loro erano tutti contenti così. Solo essere vicini al figlio di Dio dava loro molta più speranza di quanta ne avessero mai avuta prima.

Fu così che in breve tempo Gesù cominciava a diventare sempre più famoso e conosciuto, tanto da attirare l’attenzione dei capi romani ed ebrei della zona. Non solo, anche Dio stesso aveva seguito i progressi di suoi figlio e stava cominciando a ingelosirsi come si ingelosiva di ogni altro essere che acquistava troppo potere sulla terra. Ora questo cazzone di Gesù cominciava a pensare di avere un po’ troppo potere in un mondo in cui la gente troppo facilmente era suscettibile a un briciolo di potere. Allo stesso tempo a Dio davano fastidio i discendenti di Abramo, gli ebrei, che ormai usavano il suo nome solo per fare i comodi propri. Anche loro erano diventati troppo potenti e indipendenti per i suoi gusti e decise di metterli uno contro gli altri.

Così Dio decise che era ora di mandare il Diavolo sulla terra a cercare di quantomeno sviare Gesù dalla strada che aveva interapreso. Satana, come già aveva svelato ad Adamo nel Paradiso Terrestre era in grado di assumere le sembianze della donna più figa dell’universo e fu proprio così che si presentò a Gesù una notte mentre egli era accampato nel deserto con i suoi seguaci.

Gesù non credeva ai suoi occhi e la seguì senza opporre alcuna resistenza. La diavolessa si fece chiavare da Gesù in tutte le posizioni possibili e immaginabili e dopo aver esaurito la sua grande energia lussuriosa gli parlò

“Se vuoi avere un altro assaggio di questo culo e questa figa devi organizzare una rivoluzione e dire di essere il figlio di Dio”, gli disse su ordine di Dio che sapeva benissimo che, così facendo, Gesù sarebbe andato incontro a morte sicura e lui se ne sarebbe sbarazzato per sempre.

Gesù, che non aveva altro pensiero per la testa se non il culo e la figa di cui aveva appena avuto un assaggio, acconsentì senza la minima riserva.

“Vuoi una rivoluzione? Te la do io la rivoluzione bella porcona vieni qui da paparino tuo…”

Ma il diavolo era già svanito nel nulla. Solo una voce echeggiava nella testa di Gesù; “Se vuoi un altro assaggio di questo culo e questa figa devi organizzare una rivoluzione”.

Così Dio tornò tra i suoi seguaci.

“Mettetevi a posto lì”, esordì. Tutti si sedettero in cerchio ad ascoltare la sua parola.

“Dio mi è apparso nella notte. E mi ha detto quale sia la nostra missione. Dobbiamo rivoltarci contro gli ebrei. Perché io sono il vero figlio di Dio, il re dei re, il più forte dei forti. Io sono imbattibile e tutti gli altri sono merda. Tutto quello che voglio io diventerà realtà perché ho un cazzone di quasi mezzo metro. Come quelli di voi che l’anno preso in culo sanno bene. Quindi domani noi andremo a Gerusalemme e li manderemo tutti affanculo!”.

“Siiiiiiiii, Viva Gesù. Siamo tutti con te”, si levarono i cori dal gruppo di suoi seguaci.

L’indomani Gesù e i suoi si recarono al tempio principale e trovarono tutti i sacerdoti in un orgia senza inizio ne fine, un groviglio di corpi che si inculavano, leccavano, succhiavano, in tutti i modi e tutte le posizioni possibili.
“Ascoltate” disse Gesù alzando le braccia la cielo e tirando fuori il suo cazzone eretto di mezzo metro da sotto la toga. “Io sono il figlio di Dio, l’unico dotato di un cazzo a immagine e somiglianza di quello di mio padre e voi mi ubbidirete”. Tutte le donne e gli omosessuali presenti nel gran salone del tempio si spostarono verso Gesù, come magicamente attratti da quel membro sovrumano. Si inchinarono davanti a lui e cominciarono a leccargli il cazzo in totale abbandono. Ma i sacerdoti non ci stavano. Non sarebbe stato un pirla con una cazzo gigante a portargli via quello che avevano costruito in anni di sacrifici e accordi strappati agli invasori Romani. Così Kaifa, il capo dei sacerdoti ebrei, si alzò e ordinò a tutti di allontanarsi da Gesù.
“Tu non sei il figlio di Dio. Sei un impostore e un balsfemo. Ti farò crucifiggere”. Gesù, nella sua estasi sessuale, non lo ascoltò nemmeno e non si accorse che Kaifa stava radunando i suoi uomini. Non si accorse nemmeno che la lotta tra i suoi seguaci e i soldati dei sacerdoti era iniziata.

Gesù aveva un discreto seguito ma i farisei erano ovviamente ben più organizzati e in poco tempo avevano messo sotto Gesù e i suoi, costringendoli a un’ignominosa fuga. Anzi, Gesù era scappato quasi subito dopo essersi reso conto che c’era un combattimento in atto, mentre alcuni di loro, guidati dall’apostolo Giuda Idiota, erano rimasti a combattere ma stavano rapidamente soccombendo.

Gesù e i suoi 12 apostoli riuscirono a nascondersi nei boschi. Quella sera cenarono tutti insieme ma alcuni erano perplessi dalla codardia mostrata da Gesù.
“Signore”, disse uno di loro che si chiamava Giovanna ma si faceva chiamare Giovanni per non essere discriminato, “come hai potuto abbandonare Giuda che di tutti noi era il tuo servo più devoto?”

“Coglione”, replicò Gesù tirandogli un ceffone, “non ti sei reso conto che Giuda mi ha tradito?”
“Come tradito? E’ rimasto là a combattere per difenderti”
“Sei proprio uno stupido. Erano tutti d’accordo. Era un trappola che ci avevano teso. Giuda mi ha tradito non dico una, non dico due ma addirittura tre volte e non potevo perdonarglielo”.
“Perdonami signore, non avevo capito, non dubiterò mai più della vostra parola divina”.
“Sarà meglio per te. Ora piegati a novanta che vi faccio vedere come spezzo in due le tue pagnotte”.
“Sì signore”, ubbidì Giovanni piegandosi e aspettando rassegnato che Gesù lo trafiggesse con il suo membro gigante.
“Avete come si aprono le pagnotte di Giovanni?”, urlò Gesù mentre infilava l’enorme cappella nel culo di Giovanni, ridendo in uno spasmo godereccio. “Mo’ vi faccio vedere un altro trucchetto”.
Si rivolse agli apostoli. “Prendete un bicchiere d’acqua e dateglielo da bere a Giovanni”.
“Adesso trasformeremo l’acqua in vino”, urlò Gesù ancora ridendo. “Qualcuno metta un bicchiere qui vicino al buco del culo di Giovanni”.
Fatto ciò, Gesù spinse il suo membro enorme nel culo di Giovanni, spaccandolo e facendo uscire un fiotto di sangue che andò a riempire il bicchiere. L’effetto era buffo. L’acqua entrava nella bocca di Giovanni e il liquido rosso gli usciva dal culo. “Ecco”, disse Gesù ridendo, “ora bevetevi sto vino”.
“Ma signore”, disse un altro degli apostoli, “Quello non è vino, è sangue!”.
“Zitto idiota, sangue e vino sono la stessa cosa. Ora bevete e gioite, bastardi ingrati”.

FINE PRIMA PARTE

CAPITOLO OTTAVO


BUDDHA AL BAR

Non è sicuro al 100% però sembra che uno dei miei propropropropropropropropropropropropropropro
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proproproprogenitori proprovenisse addirittura dal Nepal. Si chiamava Siddharta Gautama, altresì detto il Buddha. E questa è la sua storia.

Il gomito del Buddha scivolò dal bancone sui cui era appoggiato e la faccia del Buddha finì dritta nel piatto di dolciumi che aveva davanti. Era sbronzo perso. Ormai era sempre sbronzo. Beveva per dimenticare, per dimenticare le cose orribili che aveva fatto nella sua vita, per dimenticare l’ossessione delle sensazioni che lo perseguitava da sempre, il bisogno di sentire emozioni sempre più forti e sempre più malsane. Beveva per dimenticarsi che ora era solo, un ciccione obeso che non sapeva controllarsi e che per questo aveva perso tutti gli amici che avesse mai avuto. Non si era mai riuscito a controllare in vita sua. Qualsiasi desiderio, qualsiasi tentazione, aveva sempre ceduto a tutto e aveva sempre cercato qualcosa di più forte, più intenso, più malato.

Era nato in una famiglia ricca e già a tre anni pesava più di 50 chili. Mangiava qualsiasi cosa, carne, salumi, formaggi, dolci, caramelle, torte, paste, biscotti e ne voleva sempre di più. Aveva cominciato a masturbarsi a 3 anni, non aveva mai avuto alcun senso del pudore. Si mordeva le unghie, si attorciliava i capelli, si metteva le dita nel naso e poi in bocca e poi nelle orecchie e poi di nuovo in bocca, poi negli occhi e così via. Era proprio un maialone.

A 8 anni aveva obbligato una delle cortigiane a fargli un pompino e a 11 anni se ne era chiavata una per la prima volta. Entro i 12 anni era già assuefatto ai liquori, alla birra e al vino e non disdegnava oppio e oppiacei, eccitanti e calmanti di qualsiasi genere. Insomma era un vero junkie. Tutto gli andava bene, tutto ciò che potesse dargli sensazioni forti. Però le sensazioni forti non bastavano mai. E così era sempre alla ricerca di qualcosa di più forte. Prima dei 15 anni aveva infatti messo su un giro di scommesse su combattimenti alla morte tra gladiatori e aveva adibito un’intera ala del palazzo al gioco d’azzardo.

Un'altra ala del palazzo, invece, era dedicata esclusivamente ai giochi sessuali, con centinaia di prostitute ovunque. Entro i 13 anni aveva già organizzato orge di ogni tipo e di ogni sesso. Donne, uomini, travestiti, ermafroditi, eunuchi, tutto faceva brodo. Buddha si divertiva a prendere parte alle ammucchiate più selvagge e mescolate. Dopo qualche mese però anche le cose più malate lo stufavano e doveva pensarne delle altre. Fighe e culi slargati fino a infilarci un braccio e persino un piede, doppia e tripla penetrazione, pissing, gente che si faceva cagare addosso, obbligata a mangiare la merda di altri. Ma più si spingeva in là, più non gli bastava mai.

Così coinvolse nelle orge anche cavalli, cani e persino elefanti. Costringeva donne e uomini a fottere e farsi fottere dagli animali. A farsi cagare e pisciare addosso. Ma ancora non bastava, così costrinse schiere di bambini dei villaggi circostanti, da pochi mesi di vita a cique anni, a entrare a far parte delle orge. C’erano bambine che per essere chiavate da cazzoni enormi dovevano avere le fighette squartate con un coltello. Bambini a cui venivano tranciati gli arti per creare nuovi orefizi atti alla copulazione. Sangue, merda, sborra e altri liquidi corporei ovunque. Ma a Buddha queste sensazioni estreme non erano ancora sufficienti. Ormai il suo intero essere era come un buco nero che si nutriva di sensazioni ma che non poteva mai essere sazio.

Così passò alla tortura. Faceva legare gente che poi veniva tagliata a pezzi in tutti i modi. Persone innocenti che venivano appese a testa in giù per rimanere coscienti mentre veniva lentamente tagliata a metà con una sega, gente obbligata a bere quintali d’acqua mentre tutti i possibili orefizi vienivano cuciti e sigillati, gente obbligata a sedersi su un cuneo con pesi legati alla caviglie per venire lentamente divisa in due tra atroci sofferenze, gente che veniva spellata viva, squartata con spazzole di ferro. Ma tutto questo ancora non bastava mai.

Allora il Buddha si diede alla droga pesante e all’autodistruzione ma ancora gli mancava sempre qualcosa. Ritornò all’alcol e ci mise tutta la sua volontà per autoannientare quella sensazione di incompletezza che aveva dentro con il liquore ma non bastava, non bastava, non bastava. Con il liquore, nello stadio peggiore della sua assuefazione alcolica, riusciva solo per qualche minuto ad anestetizzare la sensazione, la fame di sensazioni.

Così ora il Buddha, solo, seduto a quel bancone, pensava a ciò che era stata la sua vita. A tutto il male e il dolore che aveva causato. A come aveva sempre cercato qualcosa, una sazietà che non esisteva. Ma non sapeva come fare a non sentire più quella voglia di sensazioni. Visto che il sesso, la dorga, la tortura e la violenza non funzionavano più per lui, decise di darsi completamente al gioco d’azzardo, pronto a perdere tutti i suoi averi.

Questo funzionò. Perdere tutto fu un’emozione senza paragoni, la più forte emozione che avesse mai provato. Dopo poco il Buddha si ritrovò completamente sul lastrico, senza un soldo, senza amici, senza desideri, e soprattutto senza quella fame di sensazioni che tanto a lungo lo aveva perseguitato. Fu quella la sua più grande illuminazione. Non aveva più niente e soprattutto non avrebbe mai più potuto avere nulla. Non avrebbe più potuto far male a se stesso e a nessun altro.

Era ancora un ciccione schifoso, ex alcolizzato, colpevole dei più terribili crimini che la mente umana possa concepire, eppure ora era in pace. Così decise di diffondere questo concetto: la pace può essere ottenuta solo attraverso l’abbandono delle sensazioni terrene e di tutti i beni materiali. Il cibo, l’alcol, le droghe sono pericolosi e dannosi per l’anima e solo rinunciando a tutti i voleri terreni si può raggiungere il Nirvana.

Il Buddha diffuse il suo messaggio e in poco tempo divenne noto in tutto il sudest asiatico. La gente veniva da tutti i luoghi per rendergli omaggio e liberarsi di tutti i beni materiali. E il Buddha li raccoglieva e raccoglieva le persone sotto la sua ala protettrice. E in poco tempo, a forza di raccogliere i beni materiali abbandonati dalla gente, divenne ancora più ricco di prima, e soprattutto aveva un potere ancora maggiore sulle persone che lo circondavano. Poteva chiedergli di fare assolutamente qualsiasi cosa e loro avrebbero ubbidito. E così fece. Le mangiate e le bevute ricominciarono, e anche le orge, che presto si rimescolarono alla tortura e alla violenza. E la fame. La fame era tornata più violenta che mai e ormai Buddha era fuori da ogni controllo. Viveva perennemente in un miscuglio di orrori che lo aveva portato a mangiarsi i corpi ancora vivi delle persone che si stava fottendo, in un castello degli orrori dove ogni sensazione andava obbedita. Ora però la fame e la voglia non erano più così intense. Non che questo limitasse la sua crudeltà e violenza, però si rendeva conto che non sentiva lo stesso bisogno di sensazioni forti che sentiva prima della cura purificante del Nirvana. Aveva raggunto uno stato di pace tale che si sentiva perfettamente a suo agio agendo nella maniera più indiscrimanta possibile.

Un po’ alla volta ricominciò ad abbandonare tutte le sue proprietà terrene, i suoi averi e smise di esercitare il suo potere sulla mente dei suoi seguaci. Riprese a predicare l’abbandono delle sensazioni terrene per raggiungere il Nirvana e si trovò di nuovo senza nulla e in pace con l’universo. Mangiava e beveva il minimo, dormiva per terra e meditava tutto il giorno e la notte. Era un santo.

Poi un giorno si svegliò e riprese a comportarsi da demonio. Poi ancora da santo. Poi ancora da demonio. E anche quando faceva il demonio c’erano momenti in cui si comportava da santo e quando si comportava da santo ogni tanto faceva il demonio a sprazzi. Quando era santo si circondava di luce, quando era demonio viveva nell’oscurità. A volte prefriva le donne, a volte gli uomini. Lo Ying e lo Yang. Il Buddha capì che il segreto del Nirvana non era cercare le sensazioni più forti o rifiutare qualsasi sensazione bensì fregarsene altamente di tutto e tutti e fare quel che si ha voglia di fare.

CAPITOLO SETTIMO



MOSE' OSE'

PARTE DUE

Dio scese a valle e vide l’accampamento dei quasi tre milioni di ebrei che erano fuggiti dall’Egitto e, guardandoli così allegri e pieni di vita, prese una decisione solenne: si sarebbe scopato tutte le donne, e anche qualche uomo, se era abbastanza attraente ed effemminato.
Così fece: scopò circa un milione e mezzo di donne e qualche decina di uomini. Si divertì così tanto che permise anche agli altri uomini, quelli che erano inizialmente stati esclusi dalla mega orgia, di unirsi e scopare liberamente con qualunque donna. Alla fine ogni singolo uomo o donna potè dire di aver avuto un rapporto diretto con Dio.
Intanto, in cima al Monte Sinai, Mosè aspettava. E aspettava e aspettava e aspettava. E aspettava e aspettava e aspettava. E aspettava. E aspettava. E aspettava aspettava aspettava aspettava aspettava. E Dio non tornava. E lui aspettava. E di Dio nessuna traccia. Per quaranta giorni e quaranta notti Mosè aspettò Dio in cima al Monte Sinai. Aveva fame, sonno e freddo ma doveva aspettare perché Dio gli avrebbe detto come distruggere tutti gli ebrei.
Alla mattina del 41° giorno Dio tornò.
“Ma dove cazzo sei stato!? È più di un mese che sono quassù ad aspettarti!!”
“Ehm…” cominciò Dio incrociando le punte dei piedi come uno scolaretto che è appena stato beccato a fare qualcosa di sbagliato. “Ero lì a… ehm… parlare con la tua gente. Sai, alla fine sono brave persone. Simpatiche. Non capisco perché li vuoi distruggere così tanto”.
“Ma se sei tu che mi hai detto che li volevi bruciare nel deserto?”
“E’ vero, è vero. Però ho un po’ cambiato idea. Secondo me possiamo tenerceli buoni. Ti detterò alcune leggi da propinargli che ci permetteranno di soggiogarli e usarli quando ne abbiamo bisogno”.
“Va bene. Hai tu il papiro e l’inchiostro?”
“Ma che cazzo dici? Quelli erano i metodi degli egiziani. Quei poveretti arretrati e senza dio. Scriverai incidendo sulla pietra”
Mosè piagnucolò un po’ ma si dovette adeguare.
“Allora. Primo comandamento: il cazzo di Dio è uno solo e gli umani lo devono succhiare”
“Ma Dio non ti sembra un po’ forte come inizio?
“Taci coglione. I comandamenti li decido io”. Mosè ubbidì e si mise a incidere a fatica le parole di Dio nella pietra.
Quando ebbe finito, cinque ore dopo, guardò verso Dio. “Era ora Mosè. Sei un po’ì lento con quello scalpello. Comunque ecco il secondo comandamento: il culo di Dio è enorme e gli umani lo devono leccare tutto e per bene”
“Ma Dio…”
“Zitto! E’ perfetto. Voglio solo fargli capire quali sono i ruoli”. Disse Dio, mentre aspettava che Mosè finisse di incidere. “Terzo comandamento: quando succede qualcosa che non ti piace evoca il tuo Dio, sempre. A me fa solo piacere essere al centro dell’attenzione”.
“Ma sei sicuro? Non è che la gente bestemmia già fin troppo?
“Ma va! A me piace quando dicono “porcodio”. Adoro pensare che mi bisimano per tutte le cose che gli vanno male”.
“Contento tu…” disse Mosè sottovoce e cominciò a incidere.
“Quarto comandamento: dedica almeno un giorno alla settimana a fare festa in mio nome. Droga, alcol, puttane. Tutto quello che vuoi. Offro io”.
“Questa non è da te. Come mai?”
“Beh dai bisogna anche mostrare un po’ di magnanimità ogni tanto. Un po’ di bastone e un po’ di carota”
“In che senso?”
“Lascia stare te lo spiego dopo. Quinto comandamento: appena sei in grado di formulare pensieri compiuti manda affareinculo quei rincoglioniti dei tuoi genitori. Le generazioni precedenti non capiscono mai un cazzo”.
“Questo mi piace”. Convenne Mosè.
“Ti ho forse chiesto un’opionione? Tu devi solo cisellare quella cazzo di roccia! Andiamo avanti. Sesto comandamento: se qualcuno ti rompe i coglioni, o rompe i coglioni a me, uccidilo”
“…” Mosè non ci capiva più un cazzo.
“Bene”, gli disse Dio. “Vedo che hai capito che devi tacere. Settimo comandamento: scopati qualsiasi donna riesci a scoparti ma ricordati che se la voglio anch’io prima me la scopo io, perché sono Dio”.
“Ma la rima è voluta?” Chiese Mosè con un tono un po’ sarcastico.
Dio gli tirò un ceffone. Poi, quando Mosè ebbe finito di cisellare, proseguì: “Ottavo comandamento: se vedi qualcosa che ti piace, prendilo. Stai solo attento a non farti beccare se no gli altri hanno diritto di ammazzarti”
Mosè, ancora dolorante, stette zitto.
“Nono comandamento: se sei in trappola menti. Sempre. Sputtana chiunque pur di non farti incastrare. Fa tutto parte del gioco”.
“Okay” disse Mosè che intravedeva la fine di quel calvario. Il polso gli faceva male dallo scrivere, la faccia gli faceva male. Ma ne mancava solo uno. “E quale sarebbe l’ultimo comandamento?”
“Sai una cosa”, disse Dio che all’improvviso non sembrava più così sicuro di sè, “mi sa che questi comandamenti lasciano agli umani troppa libertà.
“Ma no… ma cosa stai dicendo. Secondo me sono perfetti”
“No Mosè, tu sei troppo buono. Mi sa che dobbiamo tenere sti coglioni un bel po’ più castigati, altrimenti ce li troviamo a fare tutto quello che vogliono e poi va a finire che si dimenticano di me, di te e del fatto che sono solo degli schiavi. Ricominciamo da capo va. Sei pronto?”
“Ma porcoddio!” Urlò Mosè esasperato scaraventando la tavola dei comandamenti a terra a rompendola in mille pezzi. Se vuoi altri dieci comandamenti te li scrivi tu brutto stronzo rompicazzo!”
“Dai Mosè non fare così. Io sto facendo questo lavoro anche per te. Per fare in modo che tu possa controllare meglio quell’orda di scalmanati”
“No Dio. Vaffanculo tu, i comandamenti e l’orda. Io me ne torno di sotto e se ‘sti pezzi di coglioni vivono, muoiono e vanno alla Terra Promessa a me non me ne può fregar di meno”.
“Ti prego, ti prego, ti prego”, lo implorò Dio. “Mi spiace per essere stato un po’ duro con te ma è per il tuo bene. Tu sei il prescelto da Dio, per questo sono severo.
“Ma si può sapere perché cazzo non te le puoi scrivere da solo ste maledette leggi?”
“Beh…”
“Beh cosa?”
“È che… non so come dirtelo…”
“Dillo e basta. Sei Dio per Dio non puoi essere così cacasotto”
“Beh… è che…”
“Dai dio, puoi dirmelo. Puoi dirmi qualsiasi cosa, non perderò il mio rispetto per te. Alla fine sei Dio, sei l’essere supremo, non c’è niente di cui dovresti vergognarti”.
“Va bene. È che… è che… Non so scrivere! Ecco l’ho detto!”
Mosè scoppio a ridere come un pazzo
“Ma avevi detto che non mi avresti deriso”, disse Dio imbarazzatissimo.
“Hahahahahahaha”, Mosè non riusciva a smettere. “Hahahha… lo so è che porcoddio… non ci posso credere. Sei grande e grosso, sei l’essere perfetto, praticamente onnipotente… e non sai scrivere?”
“Che cazzo vuoi da me? È la vostra lingua che fa cagare! E poi voi umani inventate una nuova lingua ogni 50 anni. Come cazzo faccio a ricordarmele tutte?”
“Va bene Dio”, Disse Mosè con tono comprensivo. Questa rivelazione gli aveva reso Dio un po’ più simpatico. Lo rendeva più “umano” invece che il solito esaltato che pensava di essere meglio di tutti. “Ti scriverò i 10 comandamenti ma questa volta pensaci bene perché non li riscriverò più”.
“Allora…” Disse Dio improvvisamente rabbonito e stranamente calmo e rilassato.
La confessione gli aveva tolto un peso enorme. Confrontando apertamente la propria fallibilità, Dio non sentiva più il dovere di mostrarsi sempre onnisciente e onnipotente. In pochi attimi, grazie al suo intelletto superiore e divino, raggiunse un livello di illuminazione infinito e capì tutto. Capì come deve comportarsi un vero dio. L’esempio che deve dare alla gente. Capì quale era il suo ruolo e provò un amore enorme per l’umanità intera. Così cominciò a dettare i veri comandamenti. Non più solo un modo per dominare l’umanità e schiavizzarla, ma un modo per elevarla e renderla davvero libera, permettendogli di raggiungere l’illuminazione e di unirsi un giorno a lui nell’eternità

“Primo comandamento: ogni uomo deve avere un rapporto unico con Dio. Nessun uomo può dire a nessun altro uomo come venerare Dio”
“Bello”, disse Mosè, “questo mi piace”. Anche lui si sentiva più buono dopo aver fatto pace con Dio.
“Secondo comandamento: Dio è ovunque. Nomina il nome di Dio quando ti pare”.
“Sto dio è un po’ pazzo”, pensò Mosè, “Mi sa che è un po’ maniacodepressivo”. Intanto però continuava a scrivere.
“Terzo comandamento: ricordati di fare un sacco di feste e divertirti serenamente”
Mosè cominciava a insospettirsi. Sto Dio era diventato improvvisamente troppo buono. I comandamenti dovevano servirgli per controllare gli uomini, non per liberarli e renderli davvero felici. Così invece di scrivere esattamente quello che gli dettava Dio, scrisse: “Ricordati di santificare le feste”. Poi cambiò anche il secondo comandamento in: “Non nominare il nome di Dio invano” e il primo in: “Non avrai altro Dio all’infuori di me”.

“Quarto comandamento”, proseguì Dio, “dubita di quello che ti dicono tuo padre e tua madre”.
Mosè scrisse: “Onora il padre e la madre”.
“Quinto comandamento: se qualcuno ti opprime ribellati. Se devi, uccidilo”
Mosè scrisse: “Non uccidere”.
“Sesto comandamento: il sesso è bello e fa bene. Fallo spesso”.
Mosè scrisse: “Non commettere atti impuri”.
“Settimo comandamento: ruba ai ricchi per dare ai poveri”
Mosè scrisse: “Non rubare”.
“Ottavo comandamento: lavoratori di tutto il Mondo unitevi. Il popolo unito non sarà mai vinto”.
Mosè scrisse: Non dire falsa testimonianza”.
“Nono comandamento: desidera tutte le donne, rispettale e amale”.
Mosè scrisse: “Non desiderare la donna d’altri”.
“Decimo comandamento: se vedi delle ingiustizie, dove uno ha troppo e un altro ha troppo poco, intervieni senza esitare”
Mosè scrisse: “Non desiderare la roba d’altri”.

“Me li rileggi per essere sicuro che siano tutti giusti?”, disse Dio.
“Ma no, dai Dio. Figurati. Ho scritto proprio come mi hai detto tu”.
“Va bene, ma solo una controllatina. Sai l’intero futuro dell’umanità dipende da ste tavole”
“Ma va lascia stare”, disse Mosè e si incamminò a passo sostenuto verso valle, con Dio che lo seguiva e lo implorava di rileggergli i dettami. Ma Noè non ne voleva sapere.

Arrivato a valle, Mosè si trovò davanti uno spettacolo tremendo (per lui). Tutti gli ebrei avevano allestito un mega rave e sembravano divertirsi come matti a ballare e cantare intorno a un Dj beduino vestito con una pelle di vitello colorata d’oro. Dj Golden si faceva chiamare. A quanto pare era il Dj più figo di tutta l’asia ed era stato scritturato con i soldi raccolti, fondendo tutto l’oro che era rimasto, per festeggiare la mega chiavata con Dio. Dj Golden si era portato dietro l’armamentario da Dj in un’arca di legno laminata in oro che conteneva anche tutti i suoi dischi migliori e un quintale di droghe varie, che spacciava per arrotondare. Andava in giro per il deserto, con la sua tenda chiamata Tavernacolo e la sua Arca di musica e droga, a suonare per i vari popoli che vagavano per anni nel deserto in cerca di qualche posto dove andare ad abitare.

Mosè, che fino a quel momento era stato in cima alla montagna al freddo, affamato e assetato, a lavorare per Dio mentre questi ballavano e gioivano come dei pazzi non ci vide più dalla rabbia.
“Brutti bastardi. Io sono in cima al monte a a farmi il culo per portarvi la legge di Dio e voi merde qui a festeggiare intorno a un falso idolo?
“Dai Mosè non fare così, disse qualcuno porgendogli un candyflip, un mix di LSD ed Ecstasy. Mosè all’inizio tentennò ma poi il richiamo degli allucinogeni fu più forte di lui e mandò giù le pasticche.
Poco dopo era un’altra persona. Felice, gioiso ballava insieme a tutti gli altri, trovandoli tutti bellissimi, abbracciandoli e vedendo una miriade di colori e tracce luminose.
Anche Dio si lasciò coinvolgere dall’atmosfera d’amore che regnava sul rave grazie soprattutto al mare di ecstasy con cui Dj Golden aveva annaffiato tutti.
Nel trip collettivo che ne scaturì il Tavernacolo divenne uno strumento con cui gli uomini si collegavano alla la sacralità divina e con cui dio si collegava agli uomini. Per la prima volta dall’inizio dell’umanità Dio e gli umani andavano davvero d’accordo. Si amavano e si volevano bene, non cercavano solo di incularsi a vicenda. E tutto grazie all’ecstasy e alla rivelazione che Dio ebbe in cima al Monte. Il Dj Golden con le sue tavole e la sua Arca era nel centro di un cerchio formato da tre milioni di persone scatenate, con Dio che accoglieva tutti in un tenero abbraccio pieno d’amore e Mosè, che per la prima volta in vita sua poteva finalmente sentirsi uno qualsiasi tra tanti come lui.

Quando si alzò il sole la mattina dopo, tanti stavano ancora ballando ai ritmi sfrenati di Dj Golden, mentre Dio aveva fatto su un sacco di cannoni giganti che tutti si passavano ridendo. Erano felici. Stavano bene. A un certo punto a qualcuno venne la fame chimica.
Dio schioccò le dita e dal cielo piovve manna a volontà che, nello stato in cui erano tutti, con lo stomaco sottosopra dopo essersi imbottiti di ecstasy e acido, era poprio una manna dal cielo.

Ma l’ecstasy è una droga allucinogena e come tutti gli allucinogeni (e gli eccitanti) ha una fase ascendente, in cui trionfano i sentimenti di felicità e amore, e una fase calante, dove i sentimenti d’amore sono rimpiazzati da confusione, depressione rabbia, sensi di colpa e odio.

“Porcodio”, disse Mosè, che naturalmente fu il primo a tornare in uno stato mentale di negatività, “ma che cazzo stiamo facendo?”
“Balliamo amico”, gli rispose Dio, con gli occhi ancora socchiusi in una smorfia di piacere, contagiato dall’esperienza del trip collettivo. Un po’ alla volta, però anche gli altri cominciarono a essere in fase calante, sentendosi scazzati e con tutti i pensieri e le preoccupazioni che tornavano ad invadere le loro menti.
“Oddio ma siamo in mezzo al deserto, senza acqua e senza viveri. E per di più non abbiamo più un soldo”.
“Abbiamo venduto tutto per ‘sto cazzo di Dj!”
“E adesso cosa faremo. Siamo morti!”
Presto cominciarono i primi litigi. Che sfociarono in rissa.
Riprendiamoci i nostri soldi da ‘sto ladro!”. Senza troppi complimenti gli ebrei si scagliarono su Dj Golden e gli strapparono la pelle di vitello dorata, gli distrussero le tavole e gli presero l’Arca dorata. Poi lo cacciarono nudo e bastonato in mezzo al deserto.

Dio non ci poteva credere. Proprio adesso che aveva appena scoperto un nuovo, vero amore per l’umanità, era l’umanità stessa a dimostrargli che aveva sbagliato. Se gli uomini non avevano la minima capacità di raggiungere l’illuminazione, se non avevano la minima predisposizione per la bontà, perché avrebbe dovuto essere clemente con loro? Confuso e depresso, anche per i postumi del trip d’ecstasy collettivo se ne andò senza dire nulla. Li avrebbe lasciati nel loro brodo.
“Anzi, non se la caveranno così facilmente”, pensò mentre si allontanava. “Farò in modo che continuino a sbagliare strada e che vaghino nel deserto per almeno altri quaranta anni. E nessuno di questi uomini presenti qui oggi sarà ancora vivo quando arriveranno alla Terra Promessa, tranne forse Mosè. A lui, che era il mio prediletto, lascerò intravedere la Palestina in modo che la consapevolezza di morire prima di esservi arrivato sia ancora più dolorosa”.

Intanto tutti gli ebrei continuavano a litigare tra loro. “Si può sapere dove è finito Dio adesso che abbiamo davvero bisogno di lui?” disse a un certo punto qualcuno.
“Se n’è andato”, disse qualcun altro.
A questo punto intervenne Mosè: “Sì, se n’è andato perché adesso non abbiamo più bisogno di lui. Siamo quasi arrivati alla Terra Promessa. Ormai è questione di giorni. Ci ha lasciato il suo amore e ci ha lasciato queste leggi”. Mosè alzò le tavole scritte da lui. “Se le rispetteremo Dio sarà sempre con noi”. Poi Mosè ripose le tavole delle leggi nell’arca che avevano rubato al povero Dj beduino e gli ebrei si misero in cammino.

La Terra Promessa li attendeva ancora ma Dio li aveva abbandonati.

CAPITOLO SESTO


MOSE' OSE'

PARTE UNO

Dopo Giacobbe non successe niente di rilievo (a parte un paio di disavventure con re Davide, un goloso che faceva sempre indigestione di Golia e suo figlio re Salamone, che faceva tagliare i bambini in due per farne dei salami. È lui la ragione per cui oggi ebrei e musulmani non mangiano salame di maiale, hanno paura che sia salame di bambino umano: le carni sono molto simili) tra i miei avi fino a un tale di nome Mosè. Niente, tranne che, dopo essere stati inculati per secoli e secoli da Dio, gli uomini si erano proprio stufati e l’avevano mandato un’altra volta affareinculo. Non è che l’avevano ucciso come aveva fatto a suo tempo Adamo, semplicemente ora se ne fregavano di lui e dei suoi capricci. Dio non aveva mai mantenuto nessuna delle promesse fatte ad Abramo di proteggere gli ebrei e loro si erano ritrovati schiavizzati dagli egizi. Il mio propropropropropropropropropropropropropro
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proproproproproproprogenitore Mosè era un ebreo ma era anche il figlio adottivo del faraone d’Egitto Ramses IV. La sua natura aveva sempre causato conflitti familiari anche perché lui era il preferito del faraone e i suoi fratelli e sorelle lo odiavano. Mosè invece odiava suo padre il faraone e quando fu grande abbastanza annunciò che se ne andava di casa perché non andava d’accordo con la 15°, la 33°, la 39° e la 72° moglie di suo padre. Solo che Ramses IV non ne voleva sapere.
“Non te ne andrai mai da casa mia Mosè. Non se ne parla neanche. Tu rimarrai qui ed erediterai il mio trono, tutta la mia ricchezza, tutte le mie mogli attuali e future, tutti i miei schiavi e te ne rimarrai qui buono buono a fare tutto quello che ti pare circondato da gente pronta a morire per qualsiasi tuo capriccio”.
“No padre. Non lo farò mai. Io preferisco andare nel deserto a fare la fame e soffrire per nessuna particolare ragione. E’ chiaro!?”
“Ma perché non capisci Mosè? Io voglio il tuo bene”.
“Niente da fare padre. Ho deciso. Me ne vado”.
“Assolutamente no” disse Ramses e lo fece rinchiudere in una delle piramidi.
La realtà era che Mosè se ne voleva andare perché era da un po’ di tempo che stava frequentando degli spacciatori ebrei della zona. Anche Mosè era ebreo ma non lo sapeva. Da piccolo era stato venduto dai suoi genitori che erano drogati e avevano bisogno dei soldi per comprarsi l’oppio. Mosè era cresciuto diventando un drogato, anche perché la sua stessa madre era stata la sua nutrice e gli aveva dato da bere latte materno alterato dall’oppio che fluiva denso nelle sue vene. Solo che ora, quando si faceva di peyote o di funghetti con gli altri ragazzi ebrei, Mosè era convinto di vedere Dio. Così convinto che era addirittura arrivato a parlargli e in una di queste trans Dio gli aveva detto che doveva portare gli ebrei nel deserto e farli bruciare tutti sotto il sole rovente. La scena si era ripetuta più volte ma Mosè non aveva ancora capito cosa e come fare.
A parte gli spacciatori, che proliferavano, gli ebrei non stavano particolarmente bene sotto il dominio di Ramses IV. La maggior parte di loro erano schiavi degli egiziani eppure accettavano serenamente il loro destino. Erano sempre felici nel loro piccolo e non avevano nessuna intenzione di andarsene dall’Egitto. Invece Mosè si sentiva sempre solo e alientato da tutto ciò che gli stava intorno e per questo li odiava. Lui aveva tutto ma era infelice; loro non avevano nulla ed erano sempre allegri. Quando era con gli egiziani si sentiva di non essere come loro, mentre quando era con gli ebrei erano loro a non accettarlo perché era un egiziano. Ed era quest’ultimo aspetto quello che lo faceva soffrire di più e che lo aveva portato inevitabilmente verso l’assuefazione all’oppio e agli allucinogeni. Per questo Mosè sognava di andarsene dall’Egitto, lontano dagli egiziani, e sterminare tutti gli ebrei.
Nei suoi deliranti pellegrinaggi senza meta indotti dalla droga, Mosè un giorno si era imbattuto in Jethro, un magnaccia che viveva in un harem circondato da decine di puttane. Essendo un uomo informato, che spesso frequentava la corte del faraone con le sue mignotte, Jethro riconobbe subito che Mosè era il figlio del faraone e lo prese sotto la sua ala.
Disse a una delle sue baldracche, una cicciona negra di nome Tzipporah di sedurlo, conquistarlo e sposarlo e Mosè, perso tra la droga e i suoi deliri interiori, non oppose alcuna resistenza. Così Mosè si sposò e continuò a vivere spensierato alla corte di Jethro, trovando, per la prima volta nella sua vita, anche un po’ di flebile ed effimera felicità.
Ma chiaramente le cose belle non durano a lungo e un giorno, drogato fino agli occhi di peyote e oppio, Mosè ebbe un’altra visione e vide il popolo degli ebrei bruciare come erba secca nel deserto, sotto il fuoco implacabile di Dio. Dio stesso gli parlò e gli disse di guidare gli ebrei nel deserto, dove lui li avrebbe distrutti perché loro non lo adoravano più.
“Voglio che tu porti gli ebrei fuori dall’Egitto nel deserto”, disse Dio
“Ma come posso fare a convincerli? E a convincere mio padre?” Piagnucolò assonnato Mosè.
“Dì agli ebrei che io voglio rinnovare la mia promessa, il mio accordo con loro. E che nel deserto ricostruiremo il rapporto speciale che avevamo in passato. Digli che glielo voglio rimettere in culo a t… cioè, no, digli che li proteggerò e li aiuterò sempre”.
“E a mio padre?”
“Digli di non opporsi al volere di Dio, che altrimenti dico al mio collega Rah di riprendersi anche il trono che ha dato a lui”.
“Porcodd… ma sei proprio un po’ bastardo tu eh?
“Fatti i cazzi tuoi drogato e pensa a eseguire i miei ordini!”.
Mosè non era il tipo da opporre resistenza a un ordine diretto e si recò da Jethro per dirgli che se ne sarebbe andato e che avrebbe condotto gli ebrei nel deserto.
“Ma così perderò un sacco dei miei migliori clienti”
“Cazzi tuoi puttaniere. Io devo eseguire gli ordini di Dio”
“Fanculo te e il tuo Dio ragazzino. E fanculo anche il tuo popolo, qualunque cazzo esso sia”.
Così Mosè si riavviò verso la capitale per parlare con suo Padre e con il popolo ebreo.
“Padre, sono tornato”
“Bene figlio mio. Sei pronto ad ereditare tutta la ricchezza, tutta la gloria e tutta la figa del mondo?”
“No padre. Ho una missione. Devo portare gli ebrei fuori dall’Egitto”
“Ma checcazzo staiaddì? Sei completamente rincoglionito? Chi te la fa fare una cagata del genere?”
“Dio me l’ha ordinato”
“Non è possibile. Di quale cazzo di Dio stai parlando? Ne abbiamo più di 2000! Sacerdoti andate subito a cercare di capire quale cazzo di Dio ha parlato con mio figlio!”.
“Non c’è bisogno, padre. Si tratta dell’unico Dio che c’è. Il Dio degli ebrei”
“Ti sei completamente rincoglionito Mosè? I nostri dei sono gli unici dei e sono superiori. Il Dio degli ebrei è debole, stupido e inutile. Io non lascerò mai partire gli ebrei dall’Egitto. Loro rimarranno sempre nostri schiavi”.
Così Mosè provò a rivolgersi direttamente agli ebrei. Andò nella piazza principale e si mise a sbraitare: “Ascoltate. E’ giunta l’ora di andarvene da qui. Di andare verso la Terra Promessa dove potrete finalmente essere liberi e non più schiavi degli egiziani. Voi siete il popolo scelto da Dio”.
Ma gli ebrei non volevano saperne. “Non se ne parla neanche. Noi siamo qui da tanti anni e ci siamo abituati. Viviamo felici e non abbiamo nessuna voglia di cambiare. Il nostro Dio non ci protegge più e senza di lui non possiamo fare nulla se non rimanere qui ”.
“Ma è proprio lui che mi ha detto di portarvi fuori nel deserto per farvi incul…. Cioè per permettergli di guidarvi alla Terra Promessa”.
“Ah sì? Allora dì a quel bugiardo che noi non ci crediamo più alle sue promesse e che se vuole fare qualcosa può almeno sistemare un po’ ‘sti bastardi egizi che ci schiavizzano”.
“E se lui li sistema a dovere voi verrete con me a vagare nel deserto in cerca della Terra Promessa?”
“Se lui li sistema verremo. Ma vedrai che non succederà niente di tutto ciò”.
“Voi state a vedere”, disse Mosè che cominciava a intravedere il progetto di Dio. Due piccioni con una fava: prima avrebbe sistemato gli egizi e poi gli ebrei. Questo Dio era proprio un gran bastardo e a Mosè la cosa piaceva molto. Anche lui odiava sia egizi che ebrei e li voleva vedere tutti morti.
Così in un’altra delle sue allucinazioni indotte da funghi e peyote, Mosè rivide Dio e gli spiegò la situazione.
“Vedi, prima devi far fuori gli egizi in modo spettacolare. Poi gli ebrei crederanno che tu li vuoi aiutare di nuovo e mi seguiranno nel deserto dove potremo cuocerli per bene”.
“Così sia”, disse Dio.
“Cosa farai?”
“Aspetta e vedrai. Mica sono impotent… cioè onnipotente per niente”.

In realtà Dio non aveva la più pallida idea di cosa fare. Tanto più che in quel periodo non stava affatto bene. Ormai erano secoli che la gente non credeva in lui e non lo adorava più e lui si stava indebolendo. Non era come ai tempi di Adamo quando un solo uomo poteva distruggerlo smettendo di credere in lui. Ora il processo era più lungo e per questo più doloroso. Senza il potere dell’adorazione della gente che lo rendeva immune, tutti questi contatti con il sudiciume degli umani, per cercare di convincerli a continuare a venerarlo, lo avevano in qualche modo contaminato.


Le 10 Piaghe

Piscia insanguinata (sangue)
La malattia, forse un’infezione presa da qualche puttana chiavata di recente, cominciò a manifestarsi con un forte bruciore all’uccello. Così Dio andò al suo cesso cosmico e pisciò un’enorme pisciata rossa intrinsa di sangue renale, che divenne una pioggia densa e rossa che durò per giorni e tutti i fiumi e i corpi d’acqua d’Egitto divennero velenosi e assunsero un colore rosso sangue. I contadini egizi si disperarono ma il faraone non voleva saperne e insisteva che si trattava solo di una coincidenza e che il Dio degli ebrei non aveva nulla a che fare con la cosa.

Rutti giganti (rospi)
Il malore di Dio perà non accennava a passare. Aveva lo stomaco gonfio e bruciori tremendi. A un certo punto non riuscì più a resistere e cacciò un rutto gigantesco e tremendo, che sembrava il suono di migliaia di rospi che invadevano l’Egitto accompagnati da un vento fetido, inquinato dall’alito malato di Dio che distruggeva i raccolti. I contadini egizi andarono nuovamente a lamentarsi dal faraone ma lui non ne voleva proprio sapere.

Pidocchi (Pidocchi)
Dio ormai era veramente malato e non si alzava più dal letto. Non mangiava, non si lavava e non c’era nessuno ad accudirlo. Così in breve tempo si circondò di sporcizia e spazzatura e nei suoi capelli si formarono giganteschi pidocchi che, trovato un habitat soprannaturale semplicemente divino, cominciarono a proliferare senza controllo. Tanto che dopo poco tempo si erano espansi oltre la testa di Dio e verso la terra degli egizi. Infestandoli rapidamente tutti. Questa volta, oltre ai contadini, anche i cittadini egizi si lamentarono con il faraone ma ancora una volta lui non voleva ascoltare ragioni.

Mega pidocchi (Belve Feroci)
Nella testa di Dio i pidocchi proliferarono così tanto che diventarono sempre più grossi, così grossi da assumere le sembianze di bestie feroci. Dopo aver invaso la testa di Dio si espansero fino alla Terra, uccidendo ogni persona sul loro cammino, soprattutto gli egiziani che andavano a lavorare nei campi. Tutti si lamentarono ancora col faraone ma lui non aveva alcuna intenzione di cedere per così poco.

Infezioni cutanee (Malattie degli animali)
Tra malattia, pidocchi e mega pidocchi, Dio era sempre più malconcio e il suo malessere, unito alla carenza cronica di condizioni igieniche si manifestò attraverso nauseabonde infezioni ed eruzioni cutanee, con orribili bubboni e macchie rosse sulla pelle. I primi a essere contagiati da questa nuova piaga furono gli animali domestici degli egiziani che morirono tutti rapidamente. Gli egiziani esasperati andarono dal faraone ma non ottennero nulla se non un commento su quanto era assurdo ciò che gli stavano dicendo: lui stava benissimo e anche i suoi animali all’interno del cortile reale.

Flatulenze (Pestilenze)
Il malessere corporeo che avvolgeva Dio coinvolgeva soprattutto il suo stomaco e l’apparato digestivo, costringendolo a rilasciare delle scorregge nefaste ma di potenza divina. Così potenti che il loro odore arrivò fino in Egitto. Venti verdastri e maleodoranti si scagliarono sulla popolazione, causando malattie e pestilenze. La gente tornò dal faraone per chiedergli di fare qualcosa. Questo qualcosa poteva solo essere di cacciare gli ebrei come richiesto da Dio tramite Mosè, ma ancora una volta il faraone non fece nulla di tutto ciò.

Diarrea (Grandine e fuoco)
Dopo le flatulenze arrivò puntuale anche una terribile pioggia di diarrea. La merda di Dio era veramenre malsana, un misto di liquame e pezzetti durissimi che piovevano sulla Terra distruggendo i raccolti. Addirittura i bruciori di stomaco di Dio erano tali che insieme alla merda pioveva sulla terra d’Egitto anche un mare di fiamme, che distrusse le case e le proprietà degli egiziani (gli ebrei non avevano nulla e quindi non c’era di che preoccuparsi). Gli egiziani tornarono ad implorare il faraone di fare la cosa giusta e cacciare ‘sti cazzo di ebrei ma il faraone si diede malato e rifiutò di incontrarli.

Locuste
La diarrea di Dio, tra l’altro, aveva delle proprietà molto particolari, dovute anche a tutto il cibo spazzatura di cui si ingozzava in continuazione. Tanto che in essa si svilupparono degli enormi batteri che crebbero e crebbero fino a diventare milioni di locuste che assalirono gli egizi e distrussero quel poco che restava dei raccolti. Stanchi, stremati e affamati si ripresentarono dal faraone che li accolse proprio mentre si apprestava a banchettare a un’enorme tavola imbandita con ogni ben di Dio che aveva nelle sue scorte personali. “Non avete il pane? Mangiate le brioche.” Disse loro.

Oscurità
Ormai tutto dava fastidio a Dio che si apprestava a lasciarsi morire. Anche solo un piccolo spiraglio di luce gli era insopportabile perché lo obbligava a vedere lo stato infimo in cui si trovava. E se lui non poteva avere la luce, allora non l’avrebbero avuta neanche gli egizi. Così Dio spense la luce sull’Egitto e gli egizi tornarono a lamentarsi dal faraone a cui però, nel suo palazzo illuminato, l’oscurità densa delle tenebre non dava alcun fastidio e quindi ancora non ascoltò la loro richiesta di cacciare via gli ebrei.

Morte dei primogeniti
Ormai Dio era veramente sul punto di morte. “orcoddio”, disse tra se, “se devo morire io allora moriranno anche gli egizi che mi hanno attaccato sta cazzo di malattia, brutti bastardi”. Così Dio uccise tutti i primogeniti egizi. Quest’ultima tragedia, che lo privava di tanti potenziali sudditi, spinse finalmente il faraone a cacciare gli ebrei nel deserto.

Soli e in una terra così poco accogliente, gli ebrei si rivolsero nuovamente a Dio per aiutarli e il loro pregare e adorare, permise a Dio di sconfiggere il male che lo stava uccidendo e rimettersi in sesto in poco tempo.
“Altro che distruggerli, devo fare in modo che ‘sti bastardi ebrei non si mettano più in testa di smettere di credere in me e adorarmi”, pensò Dio. “Sarà meglio che gli dia delle leggi da seguire alla lettera per assicurarmi la loro fedeltà”.

Però prima bisognava fare in modo che gli ebrei riuscissero a scappare definitivamente dall’Egitto. Dopo lo shock della morte dei primogeniti, infatti, il faraone si era ripreso e si era lanciato con il suo esercito alla caccia degli ebrei per sterminarli tutti. Arrivati sulle sponde del Mar Rosso e impossibilitati ad attraversarlo, gli ebrei sembravano spacciati e a Dio non gliene poteva fregar di meno, tanto ormai si era quasi completamente ripreso.
Però, per una coincidenza incredibile quanto casuale, ogni 2500 anni, con la giusta combinazione di vento e maree, si verifica nel Mar Rosso una bassa marea tale da renderlo attraversabile a piedi. Ed è proprio quello che successe con gli ebrei e, sempre coincidentalmente, quando gli egizi li raggiunsero, il mare si stava rialzando e li investì annegandoli tutti.

Così gli ebrei arrivarono al Monte Sinai. L’unica montagna abbastanza alta dove Dio avrebbe potuto dar loro le sue nuove leggi per assicurarsi la loro devozione per sempre. I circa 3 milioni di ebrei scappati dall’Egitto si accamparono dunque alla base della montagna, mentre Mosè si arrampicò fino in cima per parlare direttamente con Dio, il quale, invece aveva deciso di parlare, per l’unica volta in tutta la storia dell’umanità, direttamente con l’intero popolo ebreo. Così mentre Mosè andava su, Dio andava giù. Si incrociarono più o meno a metà montagna.

“Orcodd… Ma dove cazzo vai?”
“Ho deciso che parlerò direttamente a tutto il tuo popolo”
“Prima di tutto non sono il mio popolo, io li odio. Secondo mi avevi detto di portarli nel deserto per ucciderli. Terzo, percheccazzo mi hai detto di venire su se pensavi di andare giù?”
“Senti Mosè non mi cagare il cazzo. Io sono Dio e tu devi fare quello che ti dico. Aspettami in cima che dopo aver parlato con il tuo popolo vengo a dettarti le leggi”.

FINE PRIMA PARTE

CAPITOLO QUINTO


FIGLI DI MIGNOTTA

Ci sono ora racconti contrastanti su chi sia stato il mio vero propropropropropropropropropropropropropropropropro
proproproproproproproproproproroproproproproproproro
proproproproproproproproproropropropropropropropropro
proroproproproproproproproproproropropropropropropro
proproproproproproproproproroproproproproproproprop
proproroproproproproproproproproproropropropropropro
proproproproroproproproproproproproproproropropro
proproproproproproprogenitore. Potrebbe essere stato Ishmael, che andò a fondare il mondo arabo, oppure Esaù, da cui nacque l’impero romano e per estensione il mondo occidentale. Oppure i miei avi potevano essere stati i loro fratelli Isacco e Giacobbe. Insomma non è sicuro. Ad ogni modo di Ishmael non se ne seppe più nulla per almeno altri 3000 anni, mentre di Esaù si seppe solo che in qualche modo i suoi avi, quasi 2000 anni dopo, fondarono una città che battezzarono in onore della loro madre: Troia. Ma a queste vicende arriveremo più avanti.
Le uniche informazioni che abbiamo sono quelle che ci vengono tramandate sulle disavventure di Isacco e Giacobbe.
Isacco infatti era sempre stato il figlio prediletto da Abramo, tanto che ogni notte, mentre Isacco dormiva, Abramo si intrufolava nel suo letto e gli faceva vedere quanto gli voleva bene. Il risultato fu che Isacco divenne effemminato e viziato, e naturalmente emarginato e odiato da tutti tranne che dai suoi genitori. Solo una volta Isacco aveva provato a ribellarsi e a minacciare di rivelare tutto l’abuso che stava subendo ma si vide cotretto a ritrattare immediatamente quando Abramo minacciò seriamente di ucciderlo. Forse non l’avrebbe fatto veramente, però aveva già preparato il mucchio di legna per il rogo e legato Isacco per bene, dando come suo solito tutta la colpa per quelle azioni a un ordine divino. Solo all’ultimo momento, non si sa bene per quale ragione, si era deciso a lasciarlo andare. Se con Isacco c’era una perversa relazione di amore e odio, Abramo Ishmael proprio non lo sopportava. Non che, quando ne avesse l’occasione, non cercasse di dare un po’ del suo amore paterno anche a lui (di notte, nel suo letto), però Ishamel cresceva rapidamente e in poco tempo fu troppo grosso e muscoloso. In più era nero e Abramo odiava la sua pelle nera, prova più che evidente e costante ricordo dei continui tradimenti di Hagar. Così, mentre Ishmael fu cacciato di casa appena fu grande abbastanza, Isacco continuava a ricevere tutte le attenzioni paterne fino a quando una notte, nell’estasi dell’orgasmo e con il cazzo infilato fino in fondo al culo di Isacco, Abramo fu colpito da un attacco cardiaco e morì. Il rigor-mortis che immediatamente lo colpì fece in modo che la parte anteriore del pene di Abramo si gonfiò così tanto che Isacco non riuscì a staccarsi da lui e fu così che la donna delle pulizie li trovò la mattina seguente. Immediatamente diede l’allarme e tutti, ma proprio tutti vennero a saperlo. Isacco quindi non ebbe scelta se non andarsene a vivere con i filistei in una regione sulla costa meridionale della terra promessa. A loro, infatti, la cosa non faceva ne caldo ne freddo. In realtà non sarebbe stato un problema neanche per gli ebrei se non fosse stato che Abramo gli aveva rotto i coglioni per decenni su quanto fosse sbagliato fare sesso per divertimento e ora lo avevano beccato con le mani nella marmellata… o meglio, con il cazzo nel cioccolato.
Vivendo tra i filistei e finalmente libero dell’ombra opprimente del padre, Isacco si trovò persino una moglie, Rebecca, e cercò di guarire dell’abuso mentale che aveva dovuto sopportare tutta la vita e di superare i traumi psicologici che gli aveva causato. Si rese presto conto, però, che ormai la sua vita era segnata. Tutto quel sesso anale da giovane non si dimenticava facilmente e le donne ormai lo facevano vomitare. Era diventato completamente gay anche se non era in nessun modo felice di esserlo, perché non era stata una sua scelta, e sfogava questa insofferenza su tutti coloro che gli stavano attorno. Ogni tanto faceva sesso con Rebecca ma solo ed esclusivamente sesso anale, che comunque a lei non dispiaceva.
Isacco non aveva tutte le prevenzioni di Abramo sul sesso, tutt’altro. Era fin troppo aperto di vedute, quindi, quando Dio si presentò e si offrì di chiavargli la moglie per assicurargli gli eredi, Isacco non si fece pregare, anzi fu quasi contento della proposta. “E chiavatela nel culo”, disse Isacco a Dio mentre si dirigeva verso la camera da letto, “gliel’ho smollato a dovere, è morbido e dolce come una caramella gommosa.
Rebecca era un po’ meno contenta dell’accordo. Dio aveva un cazzo gigantesco e le faceva male sia quando glielo infilava davanti che dietro. Ma nonostante tutto, alla fine anche lei fu contenta quando diede alla luce due bellissimi gemelli.
Sembrava quasi un nuovo inizio per tutti. Isacco si ripromise che i suoi figli non avrebbero sofferto come aveva sofferto lui da giovane e l’unico desiderio di Rebecca era di dedicarsi anima e corpo ai suoi bambini. Anche Dio era soddisfatto. Isacco non aveva nessuna intenzione di smettere di credere in lui e i figli sarebbero cresciuti credendo nell’esistenza di un essere superiore, credenza che avrebbero tramandato alla loro progenie. Contrariamente alla credenza popolare, Esaù e Giacobbe non cominciarono a litigare nel grembo della madre, anzi, per qualche anno dopo la loro nascita, tutto filò liscio, senza alcun problema. Dio, Isacco, Rebecca, Esaù e Giacobbe, i due figli gemelli, erano una famiglia felice. Dio si trombava regolarmente Rebecca ma a Isacco la cosa non dava affatto fastidio e con il tempo anche Rebecca si era abituata. Il clima di armonia che regnava nella casa di Isacco tra i filistei contagiava tutti.
I due bambini si mostrarono subito molto in gamba. Esaù era forte e deciso, mentre Giacobbe era intelligente e svelto. Insieme i due avrebbero potuto fare grandi cose - dopotutto erano figli di Dio - anche conquistare il mondo. Purtroppo però niente dura per sempre, in particolare le cose belle. Quando i due ragazzi raggiunsero l’età adulta maschile, 13 anni, tutti e due conobbero una ragazza filistea di nome Ursula, che gliela diede prima a Esaù, poi a Giacobbe. Visto che era la prima donna per entrambi, tutti e due si innamorarono pazzamente di lei e finirono inevitabilmente per litigare. Alla fine, visto che nessuno dei due voleva arrendersi, giunsero a un compromesso.
“Io nella figa e tu nel culo!” disse Giacobbe a Esaù
“Non se ne parla nemmeno. Io nel culo e tu nella figa!” replicò Esaù che era fiscamente più forte ma in quanto a dialettica non era propriamente un genio.
“Va bene”, replicò Giacobbe lesto nello sfruttare l’occasione propizia. “Tu nel culo ma io nella figa e anche in bocca. Tu invece se vorrai metterglielo in bocca dovrai chiedere il mio permesso”.
“Va bene fratello”, disse magnanimamente Esaù. “Ma solo perché sei il mio fratellino”.
Giunsero così a un accordo ma era solo una tregua temporanea. La spinosa questione su chi fosse il più anziano, che in un certo senso aveva risolto il primo litigio, si ripresentò con gli interessi quando arrivò il momento per Isacco, sul letto di morte, di nominare il suo erede. Isacco era intenzionato a scegliere Esaù, per il quale aveva sempre segretamente nutrito una preferenza e che comunque era più anziano anche se solo di pochi attimi, ma Rebecca, con un abile trucco, gli fece scegliere Giacobbe.
Esaù non ci vide più a mandò tutti affareincù. Lasciò la sua casa e si incamminò verso occidente, senza una meta precisa.
Giacobbe invece s’impossessò di tutta la ricchezza accumulata da Isacco e da Abramo prima di lui e, dopo aver ucciso a sangue freddo Laban, il fratello di sua madre, si prese le sue figlie Rachel e Leah, che poi erano sue cugine di primo grado, e le due loro serve Zilpah e Bilhah, come mogli, oltre alla sua stessa madre, che era ancora una bellissima donna, come concubina.
Per quanto fosse malvagio e senza scrupoli, un difetto che Giacobbe non aveva (come anche suo fratello Esaù) erano le capacità sessuali. Era un amante insaziabile. Non si stufava mai di chiavare. Faceva orge continue con le sue quattro mogli e con sua madre, quasi tutte le notti, ed ebbe più di 100 figli, molti dei quali partoriti dalla madre. Tra i filistei si sapeva dei suoi vizi e la gente aveva cominciato a odiarlo. Più che altro erano gelosi e odiavano il fatto che lui non condividesse mai le sue spose, che tra l’altro erano anche molto belle.
Giacobbe però non era solo un gran chiavatore ma era anche molto devoto a Dio e, contrariamente a suo nonno, non vedeva alcun contrasto tra le due cose. Doveva essere devoto a Dio perché aveva un culo della madonna. Non faceva niente per meritarselo ma tutto gli andava sempre bene e lui ringraziava Dio. Dio nel frattempo lo aveva preso in simpatia perché si rivedeva in lui, però, allo stesso tempo voleva anche un’opportunità per chiavarsi le sue belle mogli. Dio sapeva che finchè Giacobbe sarebbe stato un tale amatore, non ci sarebbe stato spazio per lui. Certo, lui era Dio, e se voleva poteva distruggere Giacobbe e stuprarsi le sue mogli ma non era così che gli piaceva ottenere le cose, non era il suo stile.
Il suo stile era umiliare il più possibile gli uomini deboli, non confrontarsi con i forti.
Così Dio decise di scendere sulla terra e di andare a trovare Giacobbe per parlargli da uomo a dio.
“Caro Giacobbe…” cominciò Dio.
“E tu chiccazzo sei? E checcazzo ci fai in casa mia?”
“Calma Giacobbe io sono tuo padre”
“Tu non sei mio padre cazzone. Mio padre è morto da anni”
“Io non sono tuo padre terreno. Io sono tuo padre divino. Il padre di tutti gli uomini. Io sono Dio”.
“Porcodd… Ah, cioè, no, volevo dire… Scusa Dio è che mi hai colto un po’ di sorpresa”.
“Non ti preoccupare, ne dicono così tante di bestemmie che ormai non ci faccio più caso. Piuttosto, ascoltami. Devo affidarti un compito della massima importanza”.
A Giacobbe piaceva sentirsi richiesto. E che fosse Dio stesso a chiedere il suo aiuto lo inorgogliva ancora di più”.
“Dimmi Dio. Ti ascolto”, disse pomposamente.
“Voglio che tu e i tuoi figli torniate alla Terra Promessa e diate vita a una stirpe di uomini che credano ciecamente in me. Voi sarete il popolo eletto e io vi proteggerò sempre. Dominerete il mondo. Nessuno oserà mai farvi del male. Avrete una terra tutta vostra che terrete per sempre e tutti i popoli riconosceranno subito che quella terra vi appartiene e vi lasceranno stare lì senza alcun problema. Anzi, se vorrete espandervi, i popoli circostanti indietreggeranno e vi lasceranno occupare le loro terre, senza mai lamentarsi. Gli egiziani vi adoreranno, i romani vi benediranno, gli arabi non ne parliamo nemmeno, sarete come dei salvatori per loro. E poi i tedeschi. Quelli veramente vi tratteranno come degli dei in terra. E tu e i tuoi figli, mio carissimo Giacobbe, sarete la fonte da cui sorgerà questo grande popolo”.
“Caspita Dio”, rispose Giacobbe entusiasta. Era da tempo che cercava una valida ragione per andarsene da quei cazzo di filistei. “Sono sicuro che non ti deluderemo. Prendo le mie mogli e i miei figli e andiamo subito a Canaan”.
“Non ti preoccupare delle tue mogli Giacobbe. Lasciale pure qui, ti saranno solo d’intralcio. A loro penserò io”.
Giacobbe esitò un attimo ma alla fine la sua fame di gloria prevalse e accettò l’offerta di Dio. Il giorno dopo, dopo una notte tutta passata a fare sesso sfrenanto con tutte le sue mogli e con sua madre, erano pronti a partire. Quando si alzò dal letto per andarsene Dio era già lì. Giacobbe lo presentò alle mogli.
“Questo è Dio. Trattatelo bene mentre non ci sono”
Le donne fecero per rivestirsi ma Dio le interruppe. “Non vi preoccupate”, disse ridendo bonariamente, “non è niente che non abbia già visto. State pure comode a letto nude”. Poi prese Giacobbe sotto uno dei suoi enormi bracci e lo accompagnò alla porta. “Non deludermi Giacobbe. So che posso contare su di te”.
“Non ti deluderò, padre”, rispose Giacobbe per nulla sospettoso, poi lui e i suoi 120 figli si incamminarono per Canaan.

Non fecero in tempo a lasciare l’uscio di casa che Dio si era già intrufolato nel letto e cominciava ad assaporare la prima delle mogli di Giacobbe.